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Il Canzoniere 173


CXII.

La Mencia è lontana: in parecchi sonetti il suo poeta dirà il rammarico per la di lei assenza. In questo, lamenta di non più poter, come già altra volta, vederla mentre a piedi nudi entrava nel fiume e ne usciva scherzosa e lieta.
        È tra i sonetti che meglio lasciano intravedere sotto alla consueta copia di frasi fatte, lo schema del sonetto petrarchesco.


Vago ruscello, che l’erbetta molle
     Con le chiar’acque vai bagnando ognora,
     Come all’usato teco non dimora,
     4Quella ch’ogn’altro ardor dal cor mi tolle?
Che qui più volte i piè bagnar si volle,
     Scherzando con le Ninfe alla fresc’òra,
     Poi qui la vidi uscir dell’onde fora,
     8Tal che null’altra a par di lei s’estolle.
Qui poi s’assise onestamente all’ombra,
     Ove le chiome l’auro sì le attorse,
     11Che la memoria ancor il cor m’ingombra.
Or ch’ella i passi altrove andando torse,
     Ogni piacer da me così si sgombra,
     14Che di restar in vita sono in forse.


Vv. 1-2. «Vago ruscello che l’erbetta molle | Con le chiar’acque vai bagnando ognora» son due versi a mosaico i cui elementi si ritrovano sparsi nei seguenti del Canzoniere del Petrarca: «Vago augelletto che cantando vai», CCCLIII, v. 1; «Seguata è l’erba e da quest’occhi è molle», CCLXIII, v. 8; «Chiare fresche e dolci acque», CXXVI, v. 1. Ma non insisteremo in queste esemplificazioni che potrebbero agevolmente moltiplicarsi.

V. 3. Come all’usato, come avviene secondo il solito, ecc.; è il leopardiano «per uso» del v. 2 delle Ricordanze.

V. 4. Mi tolle, latinismo, mi porta via.

V. 6. Fresc’òra, fresca aura.

V. 8. S’estolle, nessun’altra donna si leva, come lei, bella e formosa.

V. 11. Bel verso; suona come il dantesco: «Che non paresse aver la mente ingombra», Purg., XXXI, v. 142.