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Introduzione | 15 |
nel 1547, o giù di lì, verrà rammaricando la dispersione di «ben trenta d’essi libri», o copie di tal volume (II-36). E Paolo Battista, dal canto suo, si vanta in detta lettera prefatoria di aver strappato questi versi «di bocca a’ tarli», di non aver «lasciato morire la fama di tanti e tali eroi, e tante e così gloriose eroine», di averli, insomma, tratti «fora di periglio».
In verità, l’oblio più che secolare che — come vedremo — involse le sue Rime, salve quasi per miracolo, mostra che i timori del Fregoso non erano infondati, e come egli bene abbia provveduto alla conservazione di queste operette in rima del Bandello con l’edizione agennese.
I Canti XI e le III Parche non furono in seguito mai più ristampati.
Il Canzoniere del Bandello — del quale è opportuno ora dare più compiuta notizia — è frutto lento, sporadico del suo ingegno, non opera, come le altre sovraccennate, di meditata concezione e di alacre lena.
Sciamarono, negli anni, le rime dal suo animo — meglio, dal suo cervello — per le donne che, in varia epoca, per dirla alla dantesca, intorno al cor gli eran venute! Nel 1525, nei saccheggi seguìti alla battaglia di Pavia, «la maggior parte» dì quelle fino allora composte andò soggetta alla mala sorte toccata a «molti scritti» suoi. Egli stesso narra come fu che soldati spagnuoli manomisero in Milano alcuni suoi «coffani pensando forse trovarvi dentro un gran tesoro». Solo più tardi, dopo lunghe ricerche, dopo aver fatto venire in Francia «d’Italia alcuni forzieri di [mie] robe, con quella parte de le