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Il Canzoniere | 131 |
4Fur mai querele a par delle mie dure?
Acque correnti, cristalline e pure,
Che spargon questi fonti in mille rivi,
Selvaggi augelli, crudi, fieri e schivi,
8Chi fia da morte omai che m’assicure?
Erbetta al lagrimar, ch’io faccio molle,
E più dell’altra verde; quando fia
11Che cesse il duol, ch’ogni piacer mi tolle?
Febo, ch’allumi il mondo, e questa mia
Vita contempli, ond’io son fatto folle,
14Quando vedrai che senza doglia i’ sia?
V. 3. Convien, m’è d’uopo. Il Bandello, come molti letterati del suo tempo, vive prestando i suoi servigi a questo o a quel signore ed è, per ciò, costretto a compiere questi viaggi, di cui ignoriamo l’epoca e lo scopo, ricavandone di qui, solo in modo impreciso, l’itinerario.
V. 9. Erbetta, fatta molle e fatta più verde dalle sue lagrime. Imagine che sa di flaccido romanticismo; ed anticipa taluni atteggiamenti proprii alla Musa moderna dello Stecchetti.
V. 11. Fia che cesse, avverrà che cessi.
LXXIX.
A Capua. Rammenta i celebri, sfibranti ozi, passati in proverbio, ai quali ivi s’abbandonò l’esercito di Annibale. Ma egli, il poeta, non teme nuovi lacci d’amore avendo il cuore assente, a Mantova.
Se’ tu quella città, se’ tu quel loco,
Che più di Roma nocque ad Anniballe?
Se’ tu la piaggia dov’il fier le spalle
4Sottomise ad Amor e venne fioco?
A me che pensi far s’io vivo in fuoco
Ch’avviva l’alma e tanta gioia dàlle,