E tante grazie rare
Quand’a pien mai lodate si vedranno?
Ma chi sarà d’ingegno sì sottile, 20Se debil fora l’uno, e l’altro stile,
I’ ben le veggio, le contemplo e miro,
(Vostra mercè) che tolto avete a farme
Gentil, acciò dal volgo allontanarme
Tanto più possa, quanto in Voi mi miro. 25Veggio in Voi cose, e tanto me n’ammiro,
Che non so poi di fore
Mostrar il lor valore
E de’ begli occhi quel soave giro,
E quest’è che m’ancide1 fier martire, 30Che quanto bella sete non so dire.
E pur mi sforzo con parole, e cenni2,
Come m’inspira Amor3, scoprir al mondo
Quanto nel petto dolcemente ascondo,
Da ch’io fedele4, ligio vi divenni: 35E so, che poi, ch’a ragionar i’ venni
Di Voi, quel poco ch’io
Ne scopro col dir mio.
Par che rallegri il mondo, e Amor impenni5.
Or che sarìa, se si potesse aperto 40Cantar di vostre lodi il vero merto?
Direbbe allor ogni uomo: ecco chi sola
A nostri giorni donna è pur perfetta,
Ecco chi saggiamente i cori alletta,
E di proprie virtuti altiera vola. 45Questa gli spirti a’ corpi rende e invola,
E sparge tanta gioia,
Che non può scorno o noia6
Durar dinanzi al suon di sua parola.
Così di vera gloria sulla cima.
↑V. 31. Con parole e con cenni, non descrizioni compiute, ma esclamazioni e gesti. È reminiscenza dantesca: «E con parole e con mani e con cenni«, Purg., I, 50.
↑V. 32. Amor. Il canone dantesco era per l’appunto questo: «Io mi son un, che quando | Amore mi spira, noto, ed a quel modo | Che ditta dentro, vo significando», Purg., XXIV, vv. 52-4.
↑V. 34. Fedele, da fedele, devoto è divenuto uom ligio e cioè servo d’amore, fedele fino alla morte, come quegli che, nei tempi del feudalesimo giurava al suo signore fedeltà senza restrizioni.