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28 | parte prima |
griha corsero in folla a incontrarlo; imperocchè era corsa pel paese la fama di lui: e lo stesso re Bimbisâra, che allora governava il Magadha, volle vederlo e udirlo.1 Questo re offrì anche al giovane filosofo il suo palazzo e le sue ricchezze; ma egli ricusò dicendo, che, se avesse voluto ricchezze e onori, non avrebbe abbandonato la città dove era nato, e dove i suoi regnavano sin da gran tempo. Rudraka, presso il quale recossi il giovane Çâkya, conosciuto come egli fosse di grande ingegno e di molta dottrina, voleva anch’egli al pari di Arâta Kâlâma, farlo suo compagno nell’ammaestramento dei molti discepoli, che accorrevano alla sua scuola. Ma Siddhârtha, dopo che fu stato alquanto tempo sotto la disciplina di quel dotto brâhmano, non trovossi più appagato della scienza di lui, che nol fosse stato di quella del filosofo di Vâiçâlî. Laonde pensò di partirsene di là, deciso di non cercare che in sè stesso la dottrina, di cui il suo animo era assetato. «Questa scienza che voi insegnate, disse egli al maestro nel prender comiato da lui, non ha potenza di liberarci dalle passioni, nè di por termine a quell’eterno divenire che si chiama la vita;2 non conduce alla indifferenza per le cose del mondo, non infonde la calma nell’animo, nè mena all’acquisto dell’intelligenza perfetta». Egli lasciò la città di Râjagriha seguito da cinque giovani brâhmani, Kâundinya, Bhadrika, Vâshpa, Mahânâma e Açvajit,3 che furono i suoi primi discepoli.4