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488 parte seconda

qual cosa il santo principe pratica l’inazione; e il popolo da sè stesso si fa migliore, e da sè stesso progredisco nel cammino della civiltà».1

Il mondo va da sè, basta che non se ne turbi il procedere naturale; i sovrani e i sudditi attendino a questa gran verità: ecco in che consiste tutta la politica di Lao-kün. — «Se i re e i principi vassalli si atterranno al non-fare, tutte le genti, spontaneamente, a poco a poco, entreranno nella via, che conduce a quella maniera di perfezione che lor conviene. Ma può accadere, che il popolo giunto al suo proprio stato di ben’essere, venga commosso da nuovi desiderii e da nuove passioni; ed ora volendo far bello quel che è di natura soltanto vero, ora complicato quel che é al tutto semplice; accrescendo valore alle cose da poco, dando prezzo alle cose da nulla, può accadere, dico, che si renderà di nuovo infelice. Stia, dunque all’erta il savio principe; e sradichi fin dal lor germogliare le mal’erbe dal suo campo. Il Tao, l’ente senza-nome, che si manifesta col non-fare, solo esso può dominare la forza delle passioni. Ma non si desideri nemmeno il Tao; chi è disposto a desiderarlo, è in pericolo d’avere altri desiderii ancora. Il Tao verrà a noi, tosto che in noi ogni desiderio sarà spento. Allora soltanto potremo godere veracemente la pace; allora governi e popoli diverranno spontaneamente giusti e felici».2

Render possibile la società, e società civile, non comunità, di religiosi, spentì che sian negli uomini i germi de’ desiderii, è certo la più strana fra le tante strane cose che si leggono nel libro del nostro filosofo. Questo mi-


  1. Tao-té-king, cap. lvii.
  2. Ibidem, cap. xxxvii e commento.