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486 parte seconda

ostante la sua realtà, sembra vano; non ostante la sua rettitudine, sembra ingiusto; non ostante la sua gran mente, sembra stupido».1 — «I pensieri del Santo non sono immutabili: son quelli dell’altra gente. Egli non vuole offendere i sentimenti d’alcuno. Il Santo tratta gli uomini come se tutti fossero virtuosi e onesti. Il popolo, fanciullo!, che ha detto: questa è virtù, cotesto è vizio; il popolo, lodi o disprezzi».2

§ 4. — Il quietismo assoluto, prodotto dalla distruzione de’ desiderii, e d’ogni attività della mente e del cuore, questo stato tanto simile al Nirvâna buddhico, inculcato come il più alto grado di perfezione umana, parrebbe che avesse dovuto condurre i seguaci del Tao a menare vita solitaria negli eremi, come i seguaci di Çâkyamuni. E anche sembrerebbe naturale che nel libro di Lao-tse il consorzio umano, la società, il governo, fossero tutte espressioni che non s’avessero a trovare, salvo che per dirle cose indegne dell’attenzione del savio. S’intende che Confucio e Mencio, i quali vogliono che ognuno adoperi le proprie forze e le proprie facoltà a vantaggio di tutti, sì che l’opera d’ognuno riunita costituisca quel che si chiama vita civile, ragionino ne’ loro scritti dell’arte di governare; ma non ci aspetteremmo di certo, che Lao-tse, il quale predica il quietismo e l’inerzia, detti anche precetti per ben reggere il popolo e per formare il principe saggio: e precetti fondati su quella massima fondamentale del suo sistema di filosofia, che impone al saggio di non operare in nessuna circostanza della vita. Eppure Lao-tse, non ostante che la sua dottrina si avvicini in parte a quella di certe sètte indiane, che vo-


  1. Tao-tê-king, cap. xlv.
  2. Ibidem, cap. xlix e commento.