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l introduzione

sto nuovo Buddhismo, indegno di portare un nome che ricorda il fondatore, non mancarono di scrivere i letterati cinesi, per distogliere il popolo da un culto irrazionale, giudicato anche dannoso alle antiche istituzioni dello Stato. Un libro cinese, informato alle dottrine di Confucio, chiama i monaci Buddhisti e Toasse: «gente che cerca sottrarsi al peso dei doveri sociali.... caterva di scioperati, che, per non avere il pensiero di guadagnarsi onestamente la vita, invade i conventi per godersela oziosamente...; che non ha altro in animo, che eccitare il popolo ad esser largo d’elemosine verso gli Dei...; che minaccia d’inferno chi è avaro di doni alle comunità religiose...; e che ripete spesso un suo dettato prediletto, che è questo: più darete a noi, più avrete dal cielo»: e così di questo passo. Il libro ora menzionato, che porta il titolo di Scêng-yü-kuang-hsün, non professa nemmeno grande stima per lo stesso Çâkyamuni. «Questo uomo che si ritirò in solitudine», vi si trova scritto, «e pel quale padre, madre, figliuoli, sposa, non furono che nomi vuoti di senso; che abbandonò la reggia e le dolcezze del gineceo e tutte le gioie della vita; quest’uomo avrà cari i templi che gl’innalzate, le vostre cappelle, i vostri monasteri, le vostre povere offerte!» Vi si parla poi contro le preghiere più volte ripetute, com’è usanza dei devoti buddhisti e taosse; e vi si grida allo