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xlvi | introduzione |
pra, all’idea dell’immortalità; imperocché, se le buone azioni sono numerosissime, la vita s’allunga all’infinito. Non ci occuperemo ora più oltre di questa religione, la quale benchè professata quasi soltanto dal basso popolo, ha pure lati importantissimi a studiarsi, e che a suo tempo ci tratterranno in modo speciale. Le aberrazioni dei filosofi, i sogni dei poeti, e le superstizioni del volgo sono cose anch’esse degne di considerazione; il volgo che trema dell’ignoto, il filosofo e il poeta che lo popolano delle loro fantastiche creazioni, ci porgono sempre materia a meditare con profitto su le debolezze e i delirii della povera mente umana.
Le religioni, di cui abbiamo dato ora un breve cenno, il Confucianismo, il Toaismo e il Buddhismo, sono tutte e tre professate dalla numerosa popolazione dell’Impero cinese. E per quanto queste tre dottrine si mantengano, sotto certi aspetti, ben distinte l’una dall’altra, ed abbiano templi, codici sacri, preti, divinità proprie a ciascuna; nel culto popolare si può dire che tale distinzione non esista, o sia almeno pochissimo apparente. Gli abitanti della Cina professano venerazione non solo per Confucio, Lao-tse e Çâkyamuni, ma anche per tutto l’infinito numero di divinità inferiori, appartenenti a questi tre culti. La loro fede consiste in una congerie di dogmi, di credenze, di Dei, di Genii,