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382 | parte seconda |
non ha più caro vanto che il dirsi civile; così dunque gli parla: Il buon popolo non muova lamenti sulle pubbliche gravezze, che il giudizio dei savi ha reputate necessarie al mantenimento d’uno stato culto e civile; non adduca l’esempio di altre genti che pagano molto minori tributi; ma guardi invece che molto è minore altresì la civiltà, di cui godono quelli. — Non ci rammentano queste parole il celebre detto d’un nostro famoso politico: La libertà costa cara?
«Ma più che al popolo, gli ammaestramenti di Menzio si rivolgono ai principi; perchè, dic’egli: Il popolo è paragonabile a flessibili canne, il sovrano al vento; nella direzione che il vento spira la canna si piega. Un sacro deposito è confidato ad un principe nel reggimento d’un popolo. Se qualcuno, costretto ad allontanarsi per lungo viaggio, affida la moglie e i figli all’amico; e poscia tornando risà che l’amico li fece vivere fra i patimenti, di che si fa degno costui? domanda Menzio ad un re. — Degno, risponde il re, che l’offeso rinneghi l’amicizia dell’offensore. — Così un magistrato che opprima coloro che deve proteggere, di che si fa degno? — Degno di essere destituito. — E un sovrano che non governi, ma tiranneggi, di che sarà degno? — Il re guardò a destra e a sinistra, e volse ad altro il discorso.
«....Quali verso il popolo devan essere del sovrano le cure, i pensieri, gli affetti, esprimono i moralisti Cinesi con una parola ricca di senso poetico assai più che non fosse il nome di matria sostituito dai Cretesi a quello di patria: il sovrano dev’essere, dicon essi con una sola espressione che manca alle nostre lingue, il fumù, cioè il padre-e-madre del popolo. Col popolo dunque, dice Menzio, dividano i sovrani gioje e dolori; pel suo benessere mai non si credano aver fatto abbastanza: e poi gl’im-