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parte seconda | 381 |
del popolo è il lavoro. Veggasi con che fino accorgimento vitupera l’ozioso mestiere degli accattoni e dei parassiti, mettendoli in derisione e in dispregio alle donne. Un uomo di Z’i, marito di due mogli, l’una di primo, l’altra di secondo grado, avea costume lasciare il mattino la casa e non tornarvi prima di sera, ben pasciuto e contento. La moglie di primo grado ne moveva sospetti all’altra, dicendo: ogni volta che domandiamo a nostro marito come e dove egli desina, la risposta che ne otteniamo è sempre la stessa: «Con gente dabbene»; ma di questa gente dabbene io non ne veggo mai che vengano a fargli visita. Io vo’ sapere a ogni patto dove va il nostro brav’uomo. E infatti un bel mattino gli tenne dietro a distanza; nè mai s’accorse, quanto andarono per la città, che un galantuomo gli s’accostasse a far due parole. Giunti fuori le mura al sepolcreto, dov’erano comitive a mensa di sacrificio sopra le tombe, lo vide aggirarsi accattando di brigata in brigata, e satollarsi di rimasugli. La povera donna ridottasi a casa, e narrato il tutto alla, seconda moglie, aggiunse: e questo era l’uomo che noi chiamavamo il nostro sostegno, la nostra speranza; l’uomo con cui dovremo vivere tutta la vita! le sue vie sono queste! Frattanto il marito se ne ritornava ogni sera con aria contenta: ma le donne tenendosi disonorate, ne piangevano di vergogna per lui. — Moralizza Menzio a tal proposito con questo terribile epifonema: Pensando alle vie che tengono gli uomini per acquistarsi onori e ricchezze, quanti sono, le cui mogli, se tutto sapessero, non piangerebbero di vergogna per loro?
«Raccomandato così accortamente al popolo il dovere di guadagnarsi la vita con fatiche onorate, non usa Menzio minor sagacia nell’esortarlo a non mormorare per la gravezza delle pubbliche imposte. Egli sa che il Cinese