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introduzione xxxix

pietà e insieme di sdegno per questa povera umanità, non mancava di essere anche alquanto misantropo, e non gli cadde giammai in mente d’atteggiarsi a riformatore dei costumi del tempo. «Il popolo si converte da sè stesso, egli dice; da sè stesso si arricchisce, e da sé stesso migliora; fino a che i filosofi procurano di star quieti, e non fan niente».1 Laonde, prosegue egli: «la sola cosa che io temo, è di fare».2 Dimanierachè in tutto il suo libro raccomanda il non fare, il non operare, specialmente al saggio: e raccomanda anche di lasciare ogni lavoro della mente, per cercar di vivere più tranquillo che sia possibile. «Rinunziate allo studio, se non volete amareggiati i vostri giorni da continue noie».3 Egli stesso si pregia di esser tranquillo, inerte, senza passioni, senza volontà, senza dottrina, senza ingegno. «Gli uomini tutti s’inebbriano di gioia; s’inebbriano, come a un banchetto; s’inebbriano come chi su d’un’altura respira a pieni polmoni l’aria profumata di primavera. Io solo sto tranquillo; ogni affetto morì in me prima di nascere. Io sono come un fanciullino che non ha ancora sorriso a sua madre. Io sono estraneo a tutto e a tutti: non ho scopo nella vita.


  1. Tao-te-King, ii, lvii.
  2. Ibidem, ii, liii.
  3. Ibidem, i, xx.