Pagina:Il Buddha, Confucio e Lao-Tse.djvu/431

356 parte seconda

barbari, come la pietra filosofale aveva quella di trasformare i metalli ignobili in nobili. Confucio la trasse fuori dai King: le storie gli dicevano quel che avevano fatto que’ personaggi, e da quel che avevano fatto arguì quel che dovevano essere: le poesie gli rivelavano quel che il popolo pensava dei suoi sovrani, dei ministri, dei magistrati, degli ufficiali, e quale esso stesso era, retto da siffatto governo. Il canone dei riti poi gli mostrava come era costituita la società, con che saviezza erano guidate tutte le azioni della vita, in quel tempo; e in mezzo a’ precetti che regolavano ogni singolo atto, in certe speciali congiunture, trovò ottimi insegnamenti di morale, che si applicavano alla condotta dell’uomo, qualunque fosse il suo stato e la sua condizione.

Ora, questa grande sapienza dell’antichità, così altamente vantata da Confucio, e giù giù da tutti quelli che vennero poi, è quella che ci ha conservata il primo dei Libri classici, il Ta-hsio. Ecco perchè fu chiamato «Libro che fa conoscere il metodo tenuto dagli antichi (e per antichi si deve sempre intendere i savi uomini del tempo delle tre dinastie, Hsia, Shang e Ceu) per conseguire la scienza; porta che dà accesso alla virtù». Il testo non si compone che di dugentocinque monosillabi, e ci fu tramandato da Tsêng-tse, che lo raccolse dalla bocca del suo maestro, Confucio; e che in appresso vi aggiunse dieci capitoli d’illustrazione, i quali contengono, in tutti, cinquecento quarantasei vocaboli: questi capitoli si posseggono oggi per cura dei discepoli di Tsêng-tse stesso. Così almeno affermano le edizioni del Ta-hsio, che sono in uso al presente.

Le parole, con le quali comincia la scrittura, di cui parliamo, servono di titolo alla medesima; come riscontrasi in altre opere, o cinesi o di altri popoli. Ma la in-