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296 parte seconda

sperità apparisce agli uomini sotto forma d’un animale favoloso, d’un Khi-lin per esempio o d’un Fung-huang; gli altri finalmente sono i genii tutelari d’ogni famiglia, della quale furono gli antenati.

Nei libri canonici e nei classici inoltre non si fa mai parola di rivelazione personale; non si trova esposta una teoria della creazione, nè alcuna congettura sulla formazione del mondo e degli esseri. La Natura e l’avvicendarsi de’ fenomeni d’ogni specie sono la espressione delle leggi della Natura stessa. Nemmeno si fa menzione di pene da soffrirsi dopo la morte: si parla di un Cielo, è vero, ma l’Inferno e il Purgatorio sono affatto sconosciuti. La casta sacerdotale era anch’essa ignota ai Cinesi dell’Antichità.

Veniamo alla Morale. Essa, come vedemmo in principio di questo libro,1 si fonda tutta su l’osservanza di cinque doveri, riguardati come i cardini della società, i quali sono: l’affetto tra genitori e figliuoli, la fedeltà e la giustizia tra principe e suddito, la condiscendenza tra marito e moglie, la deferenza tra vecchi e giovani, la lealtà tra gli amici. Questi doveri sono nati coll’uomo stesso; imperocchè, dice lo Shih-king, il Cielo dando nascimento alle moltitudini dette pure a ciascuno individuo doti speciali, e leggi proprie a governarle. Il «Libro delle Istorie» ci ha appena mostrato il Popolo ci-


  1. Vedi a p. xxxiii. Intorno all’antica religione della Cina, oltre le opere già citate, si potrà consultare: W. H. Medhurst, A Dissertation on the Theologis of the Chinese, Shanghae, 1847. — Joh. Heinrich Plath, Die Riligion und der cultus der alten Chinesen, München, 1862-63. — Lo stesso, China vor 4000 Jahren, München, 1869. — Ed. Biot, Recherches sur les moeurs des anciens Chinois, d’après le Shi-king, nel Jour. Asiat., 1843. — A. Severini, Il Dio dei Cinesi, Firenze, 1867.