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parte prima 239

Buddhaghosha sbarcò al Ceylon nell’anno della Religione 943 (400 d. C.), nel qual paese regnava allora Mahânama. Trattenutovisi tre anni, trascrisse su foglie di palma ed in caratteri Barma il Pitagat (Pitaka o Tripitaka),1 ch’egli trovò scritto nella lingua e con caratteri del Ceylon. In altro libro invece si legge che egli tradusse in Pali e non in Barma le scritture, che erano nella detta lingua del Ceylon. Dopo tre anni fece ritorno a Suvanna-bhumi, apportando seco i libri sacri che aveva tradotti». (Bigandet, op. cit., p. 392). — Secondo gli scrittori singhalesi, Buddhaghosha non venne nel Ceylon da Thatone, ma sibbene dal Jambudvipa (India), e precisamente dalla provincia di Magadha.

Prima della Cina ricevettero gli insegnamenti di Çâkyamuni le popolazioni tatare dell’Asia centrale; le quali, per le guerre che ebbero coll’Impero di Mezzo, furono cagione che quello Stato avesse da loro notizie della nuova credenza religiosa. Dopo la morte di Açôka, smembrato l’impero di questo monarca, i Brahmani ripresero la loro antica superiorità, che Gâutama aveva loro tolta per qualche tempo. Essi incominciarono dunque a perseguitare il nuovo culto, e le persecuzioni arrivarono al colmo sotto il re Pushpamitra (178 av. C.); nel qual tempo si videro conventi e templi abbruciati, libri distrutti, monaci e credenti costretti a emigrare dal loro paese; sì che la Chiesa ebbe tal colpo, da cui, nell’India, non si riebbe giammai. Queste persecuzioni furono cagione che i Buddhisti cercarono rifugio presso varie tribù tartare dell’Asia centrale, che erano allora in grande commozione. Un ramo di una di queste grandi tribù, di cui ho avuto occasione di parlare nel cap iii, (v. p. 108 e seg.), s’era inoltrato, come vedemmo, per lo incalzare di altre popolazioni della stessa schiatta, fino nel Kaçmîra e nel Panjâbi; ed il Buddhismo,


  1. Altri dicono che si adoperò invece a copiare un’opera intitolata Visuddhimagga, la quale, come è detto di sopra, è tenuta dai più per sua propria scrittura.

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