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parte prima 209

fu convocato da Kanishka re del Kâçmîra. — Dopo il concilio di Vâiçalî, il Buddhismo cominciò la sua opera di proselitismo, che doveva dargli in seguito il dominio di tutta l’Asia orientale. Risalendo il Gange, si estese alle provincie nordovest dell’India; poi si propagò ai popoli della Persia orientale, che abitavano la riva destra dell’Indo; si introdusse nel Kâçmîra, nella Bactriana, a Bactra; e a poco a poco, per il Kokan e Kotan, giunse sino ai confini della Cina, presso quei popoli che i Cinesi chiamano Yüeh-cih e Hiung-nu: fra i quali lo ritrovarono, in una spedizione militare, i generali dell’imperatore Han Wu-ti, nell’ultimo secolo avanti l’èra nostra. Così si arrivò al tempo del terzo concilio, convocato dai Dharmaçôka; il qual re, quasi prevedendo che nuove persecuzioni potessero distruggere il prezioso deposito delle tradizioni religiose, che aveva raccolte, inviò nell’isola di Ceylon, l’anno 316 av. C., il suo figliuolo, o fratello secondo che altri credono, per nome Mahêndra, o Mahindo come lo chiamano i Singhalesi, perchè anche quel paese si facesse conservatore degli insegnamenti buddhici.

Il nuovo indirizzo che Dharmaçôka diede al Buddhismo, e la nuova vita che gli infuse, ravvivò con la fede l’amore allo studio degli scritti che contenevano gl’insegnamenti di Çâkyamuni. Questo studio occupò anche molti uomini letterati, che diventarono poi capi di varie scuole, le quali amavano occuparsi più specialmente della parte speculativa delle dottrine del Buddha. Per tal modo ebbero a poco a poco nascimento tutti que’ sistemi filosofici e quelle sètte, che furono cagione che s’adunasse un nuovo concilio. Fu quello appunto convocato da Kaniskha; ed ebbe per resultato la riunione di tutte le scuole di filosofia, come vedemmo più innanzi, e la compilazione d’una nuova e più vasta raccolta di tradizioni religiose.

Da quanto ho esposto qui ed altrove, mi sembrerebbe verosimile congetturare, che le odierne scritture buddhiche derivano da due sorgenti, piuttosto che da una sola: cioè a dire, che le due collezioni Sanscrita e Pali non sono una copia l’una