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194 parte prima


Questi passi, tolti dal Dhammapada, oltre al mostrare, mi sembra, che alcune parole non contradicono se non in apparenza all’idea di annichilamento inerente al vocabolo nirvâna, dimostrano ancora la insussistenza dello asserire, non trovarsene la prova nei Sûtra, a cui il Dhammapada appartiene, i quali contengono le dottrine più genuine del Buddhismo. In queste scritture, se non ci incontriamo, come più sopra ho detto, in una elaborata spiegazione del nichilismo, pure vi si trovano dati bastevoli a non porre in dubbio quello che Çâkyamuni avesse voluto intendere per Nirvâna. Termineremo questo paragrafo col seguente passo del Kevatta Sutta, libro che appartiene al Dîghanikaya, Sutta Pitaka: — «In Nirvâna non vi è acqua, nè terra, nè fuoco, nè aria (i quattro elementi che costituiscono tutti i corpi); nè vi è ciò che si chiama grande, piccolo, corto, lungo, buono, cattivo. In esso tanto il nâma (la mente e le sue facoltà), quanto rûpa (il corpo) sono estinti; e con la distruzione di Vijñana (la coscienza), l’esistenza è pure annichilita».

   III. Un’altra obiezione, in apparenza importante, ma in fondo meno concludente delle altre due, è questa: che il Buddha, dopo essere entrato nel Nirvâna, si mostrò di nuovo ai suoi discepoli, e continuò la sua predicazione.

Per comprendere come ciò possa esser d’accordo con quanto sono andato sopra dichiarando circa il Nirvâna, è necessario dire poche parole intorno a due modi o meglio a due stati del Nirvâna stesso. Il vocabolo nirvâna, come fa notare il Childers,1 è adoprato con due significati diversi. Il principale è quello di annichilamento


  1. Notes on Dhammapada.