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parte prima | 193 |
Nei versetti 368 e 381 dello stesso Dhammapada, il Nirvâna è indicato con l’espressione sântam padam, che Max Müller traduce the quiet place. Cito solo il primo de’ due versetti, perchè l’altro differisce di pochissimo: — «Il religioso (Bhikshu) che opera benignamente, e che pratica con letizia la dottrina del Buddha, arriverà a quella condizione di quiete (padam santam) che è dovuta alla dissoluzione degli elementi della esistenza, (Sankhârâ)».1 L’ultima parte di questa sentenza spiega chiaramente, senza bisogno di commento, che non è quistione di un luogo qualunque destinato all’uomo per godervi eternamente il riposo e la felicità, ma che si vuole intendere quella condizione di quiete, che è sola possibile, secondo le idee buddhiche, al di fuori del dominio della esistenza.
In un altro luogo del Dhammapada, il Nirvâna è indicato con la locuzione acyutam sthâtan. Cyuta, fa osservare il D’Alwis, vuol dire «moto»; acyuta vale «non-moto» «senza-moto», «inerte»: acyuta sthâtam designa una condizione, nella quale non si manifesta mai il moto o il cambiamento di stato, e dove non c’è trasmigrazione:2 ed è perciò sinonimo di Nirvâna nel suo etimologico significato, e sinonimo pure di amata. Il passo è il seguente: «I saggi, che non fanno ingiuria a nessuno, e che sempre hanno cura delle proprie azioni, conseguiranno il Nirvâna (acyutam sthâtam), entrati nel quale non soffriranno mai più».3