Infatti quasi tutti i vocaboli adoprati come sinonimi di Nirvâna non implicano radicalmente nessuna qualità od attributo che gli sia inerente; perchè il Nulla non ha qualità, nè attributi: «la mente sola, dice il Buddha, può farsene un concetto». Quei vocaboli implicano invece il significato di «distruzione degli elementi dell’esistenza», «affrancamento dalla legge della trasmigrazione», «distruzione dei desiderii e delle passioni», «quiete» come opposto al moto del continuo rinascere, «luogo dove non vi è morte» in opposizione ai dominii della esistenza. Il significato di tali espressioni, prese letteralmente, ha appunto condotto ad un erroneo concetto, intorno a questo punto fondamentale della dottrina buddhica. Ognuno sa, che anco nei nostri libri di filosofia e di religione, alcune espressioni e alcune parole acquistano un valore speciale ed un significato diverso, e non di rado opposto, dallo ordinario. E male avrebbero gli Orientali un’idea giusta delle nostre dottrine filosofiche e dei nostri dommi religiosi, se in traduzioni fatte per uso loro tali espressioni e parole si rendessero secondo il senso e il valore usuale, che hanno negli scritti comuni, piuttosto che secondo quello speciale, che in certe scritture sogliono avere. Così è pei libri che a noi vengono dall’Oriente, ed in particolar modo per le opere buddhistiche. Una traduzione troppo letterale darà il significato generalmente ammesso di ciascuna espressione e di ciascuna frase, ma non sempre il giusto pensiero dell’autore; e non si potrà cogliere il vero, se non indagando, prima di ogni altra cosa, il valore, in cui sono adoprate certe parole; valore che spesso si rileva solo investigando la natura della dottrina, a cui fu ispirato lo scritto. Laonde è avvenuto, che nelle traduzioni dei libri buddhici, per troppo amore della lettera, si è trovato un Creatore che il sistema di Çâyka