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184 | parte prima |
che ha forma, con cui si vuol indicare il corpo organizzato; Vêdanâ, la sensazione; Samjňâ, la percezione; Samskâra, il discernimento; Vijñâna la conoscenza. Colla distruzione di questi Skandha si giunge naturalmente alla distruzione totale dell’uomo; e si rende impossibile, qualunque esistenza, tanto individuale quanto comune a qualche principio universale, intelligente e divino, che sia al di fuori della cerchia della trasmigrazione.
Quantunque la etimologia della parola nirvâna porti all’idea di «annullamento», si potrà bensì mettere in dubbio, se il Buddha l’abbia adoprata nel suo significato primitivo, piuttosto che in quello, in cui era adoprata dai Brahmani: cioè nel senso generale di suprema e ultima felicità riservata all’uomo giusto. Questo dubbio svanirebbe, solo che si pensasse che le interpretazioni date di sopra sono buddhistiche e non brahmaniche. Ma non volendo tener conto di ciò, il valore vero della parola uscirà chiaro e indubitato dalla natura della dottrina. Ora si addiceva alla primitiva dottrina buddhica allontanarsi dall’originario significato nirvâna, quando il Buddhismo introdusse tal vocabolo nel suo linguaggio religioso?
Per comprendere come il senso derivato dall’originario significato della parola Nirvâna, sia il solo possibile nel primitivo Buddhismo, e come lo annullamento dell’esistenza per mèta agli infiniti rinascimenti delle umane creature sia la necessaria conseguenza della dottrina predicata da Çâkyamuni, basta porre mente ai punti fondamentali di essa. — Pel Buddhista la vita si manifesta in uno avvicendarsi continuo di forme, nel quale gli animali, gli uomini e i Deva appaiono come fenomeni transitorii. La forza delle buone o cattive azioni degli uomini, la quale abbiamo più volte, coi Buddhisti,