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parte prima 181

a suo modo la vuole ad ogni costo in questo mondo o nell’altro, insegnò in pari tempo che ad ogni buona opera vi era un premio, e ad ogni cattiva una punizione. E questo premio e questa pena erano riservati per la vita futura, a cui si arriva per trasmigrazione. Ora siccome questi futuri rinascimenti sono in numero grandissimo, anzi infinito, un uomo può esser buon Buddhista e tenersi lontano dal Nirvâna quanto vuole. Può, in altri termini, procacciarsi colle buone azioni uno stato meno infelice, mantenendosi sempre nel dominio dell’esistenza. Gâutama ha pure insegnato, è vero, che l’esistenza è miserabile sempre e dappertutto; ma se vi è chi l’ama, egli non gliela toglie; e allora solo si limita a dire; siate più che potete virtuosi, se la volete meno disgraziata. — Colui poi, cui non andasse a genio questo continuo rinascere, a cui non piacesse nemmeno la vita del Dêvata nel più alto de’ cieli (chè degli incontentabili ce ne sono dappertutto), colui può ricorrere al Nirvâna. Cioè, può aspirare al Nirvâna. Ma quanto è difficile ottenerlo! quanti diversi modi di Essere ha da subire, quante volte, e per quante migliaia di anni, si ha da incarnare sotto forme differenti, prima di purgarsi affatto dal peccato, prima di acquistare la perfetta virtù e la perfetta scienza, divenendo un Buddha anch’egli! Il Nirvâna è dei santi. Ora si può esser buoni, senza esser santi. E dire che gli uomini non avrebbero potuto accettare il Buddhismo, perchè non avrebbero potuto mai aspirare al Nirvâna, è quasi come se si dicesse, che gli uomini non potrebbero accettare tale o tal’altra religione, per la grande difficoltà che c’è a diventar santi.

Vediamo ora qual fosse l’originario significato della parola Nirvâna; e come la interpretazione che la rende «estinzione totale di ogni modo d’essere», sia la sola