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xx introduzione

di Eraclito. Il sentimento, da cui fu spinto Siddharta a vita religiosa, e che egli volle infondere nel cuore de’ suoi seguaci, è una sovrana esagerazione di pietà per le sventure umane, che immerge nello sconforto, e uccide ogni vigore dell’animo; e non può essere il sentimento predominante de’ popoli che sono nella via d’una civiltà ognor crescente. Se poi tra le due si dovesse scegliere, mi sembra davvero più saggio e preferibile il ridere; non perchè il ridere, come dice il Montaigne, sia più piacevole del piangere, ma perchè è più sdegnoso, e meglio ci condanna. «Io penso, seguita il filosofo francese, che non vi sia in noi tanta infelicità, quanto abbiamo di vanità; nè tanta malizia, quanta sciocchezza: noi non siamo tanto pieni di male, quanto di fatuità; non siamo tanto disgraziati, quanto abbietti».1

Tratteremo a suo luogo dello svolgimento delle dottrine buddhiche; e vedremo allora, come all’idea «che il dolore sia necessario retaggio di tutti gli esseri che s’aggirano nel vasto mare dell’essere» (che è la prima delle Quattro verità, fondamento dell’antico Buddhismo) un’altra idea andò a sostituirsi, quando esso Buddhismo, abbandonata la sua semplicità, si portò nella regione delle speculazioni filosofiche: e questa idea è, che tutto nel mondo è vanità. Il


  1. Montaigne, Essais, lib. i, cap. l.