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parte prima | 157 |
stesso albero, ma una conseguenza del primo; cosicchè se il primo non fosse stato, nemmen l’ultimo potrebbe essere. L’uomo è l’albero; le sue azioni sono il frutto; e la forza vitale del frutto è il desiderio. Le buone e cattive opere danno la qualità al frutto; per modo che l’esistenza, che da queste opere ne vien fuori, sarà felice o infelice; imperocchè le qualità del frutto hanno azione sulla pianta, che nasce da quello». — Così, secondo questa teoria, le anime de’ viventi non ebbero già una esistenza in altre forme organizzate: ma sibbene, un primo Essere, sotto il dominio della passione e del desiderio, fece buone o cattive azioni, in conseguenza delle quali, dopo la morte di quello, si produsse un nuovo corpo e una nuova anima.1 Ciò che trasmigra non è, in somma, lo spirito, l’anima, l’Io, ma sibbene la condotta e il carattere dell’uomo. L’universo vivente è perciò creato dalle opere dei suoi abitatori; esso ne è l’effetto.
Questa differenza che si riscontra fra la trasmigrazione Buddhica e la Brahmanica, è una conseguenza della diversa dottrina intorno agli esseri e al mondo, che è propria a’ due sistemi. Lo spirito o l’anima non è pei Buddhisti qualcosa di indipendente dal corpo, che possa, al dissolversi di quello, andare a suscitare la vita in altro corpo mortale. L’anima, lo spirito, la mente non è che un sesto senso, Manas, che sta nel cuore; e le operazioni di esso si fanno come quelle di qualunque altro organo dei sensi: è un resultato, una conseguenza dell’organismo animale; e deve sparire coll’organismo stesso. Solamente, quando la materia, in virtù del Karma, si riorganizza in un’altra creatura, l’anima riappare con tutte le operazioni che le sono proprie: donde la diffe-