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parte prima | 141 |
primo, e noi ottenemmo dopo di lui l’esistenza. Di più, questi, che fu il primo ad esistere, vive da gran tempo, ed è superiore a noi in bellezza e in possanza; mentre noi che lo seguimmo, siamo di breve vita, inferiori in bellezza, e di piccola possanza. — Ora avvenne, che uno di questi enti cessò d’esistere nel Brahma-vimâna, e nacque in questo mondo. Egli si ritirò dalla società, e diventò un religioso: un sant’uomo, che domava le passioni, ed esercitava la virtù; tuttavia ripeteva, che Brahman è il grande, il supremo, l’invincibile, l’onnisciente, il regolatore, il signore, il fattore, il creatore di tutto. Che egli, Brahman, dal quale noi veniamo e siamo creati, è eterno, immutabile; ma noi creati da quest’almo Brahman, da questo sapiente Brahman, siamo mutabili, mortali, effimeri».1
Non è questo il solo luogo delle Scritture, dove si cerca di spogliare d’ogni potere la suprema divinità brahmanica. — Gâutama nella disputa che ebbe con gli altri filosofi, combattè sempre il concetto d’un Essere supremo, propugnando una dottrina assolutamente ateistica.2 — Un sûtra, il quale, benchè appartenente alla scuola del Mahâyâna, riflette assai bene le idee del buddhismo antico, è quasi tutto destinato a persuadere lo stesso Brahman, che lui, nè altri, può esser creatore del
- ↑ Max Müller, Dhammapada, p. xxxii-xxxvi. — «Die Bücher, die gleich dem Mulamuli der Laos von einier Schöpfung reden, sind in Uebereinstimmung mit dem Kamphi Sayasatr (den brahmanischen Shastras) abgefasst, und widersprechen der Auffassung des orthodoxen Buddhismus, der das Bestehen aller Dinge von dem einwohnenden Gesetze herleitet». (Bastian: Reisen in Siam p. 347).
- ↑ Bigandet, p. 2 in nota.