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136 parte prima

gere lo spirito alla contemplazione di tale o tale altra divinità, a modo di esempio del Buddha, esprimerne poi col corpo gli attributi per mezzo dei Mudra, e con la lingua finalmente ripetere la formula magica, Dhâranî, che esprime l’essere divino che si contempla. Abituatosi a questo modo a compararsi al Buddha, il religioso gli si identifica, facendosi esso stesso divinità: come tale si innalza alla dimora dei Dêva, e può in seguito esser per sempre liberato dal trasmigrare pel mondo.

Con l’esercizio dei Tantra, si ottiene quel che i buddhisti chiamano la Siddhi, che è il fine al quale era rivolto l’incantesimo. Non tutti gli scongiuri però nè tutti gli incantesimi tendono all’identificazione col Buddha, cioè alla Siddhi suprema; ma a molti e vari Bôdhîsatva sono consacrati i Tantra, e a vari fini, che è quanto dire a ottenere varie specie di Siddhi. Alcuni Tantra, per esempio, sono fatti per acquistare qualche potenza o forza magica, come la celerità, l’ubiquità, il modo di rendersi invisibile, l’arte di fare il beveraggio dell’immortalità o per lo meno della longevità, il modo di dominare gli spiriti, vincere i nemici, disporre a proprio talento degli elementi. Alcuni altri hanno uno scopo religioso, come quello di evocare qualche Bôdhistva o qualche Buddha, per esser chiariti intorno ad alcun dubbio sulla dottrina, o per altra cagione. Infine l’intendimento principale è di conseguire, colla Magìa e con gli incantesimi, la stessa meta, alla quale i Sûtra dell’Hinayana e del Mahâyâna giungono per altra via: ottenere cioè il termine della trasmigrazione, per le differenti forme degli esseri che popolano il cielo, la terra e l’inferno.

Ecco come s’andarono trasformando e corrompendo le originarie dottrine buddhiche. Osservando questo sistema nell’ultimo grado di svolgimento al quale giunse,