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parte prima | 133 |
l’anima ha perduto quasi tutte le sue facoltà. Le cose e le voci del mondo arrivano al devoto indistinte, confuse come venissero da lontano lontano, non lasciandogli traccia nessuna sui sensi. Ma anche questo fenomeno cessa, quando l’estasi è giunta al massimo. Allora il corpo stesso perde il sentimento della gravità; il penitente si sente come mancar la terra sotto i piedi, gli sembra essere spinto in alto, e rapito nell’aria.1 Non pare egli di leggere il brano del Sâmanya phala, o d’altro libro buddhico, dove si descrivono gli effetti che vengono al devoto, per l’esercizio dei quattro gradi di meditazione? Ma torniamo ora al nostro soggetto, e veniamo a parlare d’un’altra dottrina, che è un séguito dell’evoluzione del Mahâyâna, e che ci mostrerà sempre più quanto andaron corrompendosi i primi e semplici insegnamenti di Çâkyamuni.
Una dottrina d’origine probabilmente straniera viene ora introdotta nel Mahâyâna. Questa è la dottrina delle Formule mistiche o scongiuri; formule e scongiuri, che sono capaci di operare infiniti portenti. Ogni cosa, ogni Essere, ogni nozione dell’Essere è espressa con formule speciali, che sono chiamate Dhâranî. La dottrina del vuoto, fondamento del Mahâyâna, fu un terreno molto adattato per siffatta dottrina. E in vero, se tutti gli oggetti son vacui. Se essi non esistono che pel loro nome; il nome non esprime solamente l’oggetto, ma ne costituisce ancora l’essenza: pel nome si può dunque possederlo e dominarlo. La ripetizione continua di queste formule, e la contemplazione delle lettere colle quali sono scritte, fanno ottenere un potere assoluto sulla cosa o l’Essere a cui la formula magica è dedicata. Alla reci-
- ↑ Vedi Ch. Letourneau, Physiologie des passions, cap. iv e v.