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parte prima 129

ammetteva nel mondo altra beatitudine, che quella che ne abbiamo dalla pratica della virtù, o interpretandoli secondo le loro tendenze ascetiche, finirono per tal modo, come tutti gli uomini dominati da una passione mistica, con aspirare all’estasi, procurandosi un tale stato di felicità per via della contemplazione, o con altre pratiche di devozione e penitenza. Per arrivare a quel grado di esaltazione mentale che produce l’estasi, non mancano nell’India precetti, che guidano passo a passo il religioso fino a perdere il sentimento della propria personalità, quasi come se lo spirito si fosse partito dal corpo. Secondo il Bhagavatgitâ il devoto si darà agli esercizi religiosi, solo lontano da ogni essere umano, tanto da restar sempre padrone dei propri pensieri. «E fattosi un seggio in un luogo puro; là, tenendo fermo e in equilibrio il corpo, immobili la testa e il collo, lo sguardo fissamente volto alla punta del naso, signoreggi i pensieri, i sensi, le azioni, e volga l’animo tutto alla purificazione di sè stesso. Padrone così del proprio cuore e della propria mente, assiso a quel modo, prenda là divinità come unico oggetto della sua contemplazione». — L’Upanished indica un altro mezzo per aver l’estasi. Bisogna, dice, trattenere dapprima il fiato, e volgere il pensiero ad un obbietto fisso. Poi quando si respira, bisogna farlo con forza da gonfiar d’aria i polmoni; devesi quindi restar di nuovo senza spirare, e allora ripetere più volte che si può, per esempio ottanta, la sillaba mistica óm;1 e quando di nuovo si ricaccia il fiato fuori, convien pensare che il vento è uscito dall’etere universale e vi ritorna. Perseverando in tale esercizio bisogna farsi come cieco e sordo,


  1. In questa sillaba óm (a-u-m) gli Indiani vi distinguono le tre persone della triade brahmanica, Çiva, Vishnu e Brahman.