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parte prima 127

santità. In seguito, a seconda dell’incremento delle idee, l’intero possedimento di questa scienza, non si ha che dopo sforzi perseveranti, ed è frutto, della pratica della virtù, e dello studio.1 Ora mentre lo Çraivâka, o uditore del Buddha, per ottenere la meta doveva limitarsi a non desiderare nulla, e il Bôdhîsatva del Mahâyâna non aveva che a chiudere l’accesso nella mente a qualsiasi nozione o idea, la scuola Yôgacârika afferma, che è per mezzo della contemplazione, che, destandosi in noi nuove forze e nuove capacità, s’arriva di grado in grado fino al limite della espiazione, ossia all’impossibilità d’incarnarsi sotto altre forme. Mai, dice la scuola contemplativa, le forze del nostro spirito possono diventare tanto potenti, quanto allora che si concentrano a un sol fine; e quanto più grande è santità dell’Essere che si concentra nella meditazione, tanto più cotale potenza s’accresce e sublima. Esercitarsi ad applicare la mente a un’idea fìssa, e subire gli effetti della contemplazione estatica si chiama Samâdhi, o immersione nella Samâdhi.2 I Buddha e i Bôddhîsatra che sono immersi nella Samâdhi, producono cose maravigliose; e i Sûtra di questa scuola, detti Vâipulya sûtra, o Sûtra amplificati, sono pieni di miracoli e di prodigi operati per effetto di essa, da que’ personaggi.3

La contempiazione si fa per via di esercizi ordinati, i quali sono detti Dhyâna e Samâpatti. Col nome di Dhyâna si comprendono quattro gradi di meditazione


  1. Wassiljew, p. 136.
  2. Samâdhi. Il Turnour nel glossario del Mahâvança spiega questa parola: «meditative abstraction»; e il Burnouf, ii, p. 799: «l’empire qu’on exerce sur soi-même.... la possession. (Samâdha) de soi-même». In Tibetano Ting-nge-hzin: «deep meditation». (C. Kőrösi, Dit. Tib., p. 52. — Jæschke, Dit. Tib., p. 120).
  3. V. Wassiljew, p. 137.

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