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126 | parte prima |
Nulla, come è credenza de’ buddhisti antichi; ma rimane nel mondo, e colla potenza che egli si acquistò praticando le virtù sopra dette, aiuta gli altri uomini, a percorrere la via da esso percorsa, a ottenere il fine da esso conseguito: e solo dopo avere per lunghi secoli radunato, in tale cantatevele, opera, meriti infiniti, egli può liberamente entrare nel Nirvâna, e godersi la pace suprema. Di qui nacquero i Bôdhîsatva,1 che sono appunto una creazione del Mahâyâna. Questi semidei, che s’andarono col tempo moltiplicando all’infinito, rappresentano precisamente lo stato di coloro, ai quali non resta più che una sola esistenza umana a percorrere: imperocchè giunsero all’ultimo grado della Scienza, dopo avere esercitata la carità verso tutti gli esseri, praticando i pâramitâ. Col Mahâyâna incominciò dunque anche il panteon buddhico; e i nomi di un grandissimo numero di Bôdhîsatva e di Buddha, tutti con speciali attribuzioni e speciali missioni da compiere in fra gli uomini, appariscono nelle scritture ispirate a questa dottrina.
Una scuola, di cui è ora mestieri tener parola, nacque dal Mahâyâna, ed è la scuola contemplativa o Yôgacârya.2 Entrare in possesso delle idee che formano il fondamento dell’Hînayâna, è cosa sufficiente per ottenere il fine che si propone il seguace di quel sistema. Infatti si trova spesso nei Sûtra, la menzione di questo o quel personaggio, il quale, dopo avere udito esporre dalla bocca del Buddha, la dottrina delle quattro verità, e dei dodici Nidâna, si vede innalzato a un grado notabile di