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parte prima | 107 |
hêndra visse ancora per altri otto anni: ma si era già ritirato in solitudine sopra una montagna, e, secondo che dicono le cronache singhalesi, «governava spiritualmente il regno, dirigendo i numerosi discepoli, amministrando la Chiesa che aveva fondata, sostenendo il popolo coi suoi insegnamenti, e cacciando le tenebre del peccato».
Dopo la missione di Pâtaliputra e la conversione del Ceylon, la tradizione buddhica, come abbiamo avuto occasione più volte di far notare, si distinse in meridionale e settentrionale. La ragione di questo fatto sta probabilmente in ciò: nel Ceylon, novellamente convertito, i monaci si sforzarono di mantenere inalterati gli ammaestramenti buddhistici ricevuti da Mahêndra; al nord invece, dove la religione si era già avviata nel cammino d’un ulteriore svolgimento, e dove nemmeno l’autorità di un concilio bastò a far cessare lo scisma, la legge di Çâkyamuni seguitò la sua via, nella evoluzione delle proprie dottrine. Oltre a ciò, quando gl’insegnamenti di Mahêndra, dopo essere stati conservati oralmente per dugento anni, ricevettero una forma scritta; e furono compilati i libri buddhici che formano parte delle odierne scritture sacre del Ceylon,1 il Buddhismo del nord in quei due secoli di vita non rimase immobile. E mentre nelle collezioni Pali dei detti libri del Ceylon si conservò il Buddhismo quasi nello stato, nel quale era giunto al tempo del concilio di Pâtaliputra, nella collezione Sanscrita fatta qualche anno più tardi nel Cascemir, e di cui parleremo a suo tempo, fu conservata la legge buddhica nell’ultimo stadio del suo svolgimento. A questo modo il Buddhismo ebbe due compilazioni di libri sacri,