non portare altro abito che un mantello o tunica senza maniche, fatti con stracci trovati per via; dovevano, innanzi il tempo, in cui si riducessero ad abitar nei Vihâra, passare la vita a cielo aperto, nei cimiteri, o sotto un albero; e non avere possesso d’alcuna cosa, salvo un vaso, dove raccogliere il cibo quotidiano che andavano lemosinando: non potevano fare più di un pasto, nè era lor lecito conservar nulla pel dì venturo.1 Ma se questa maniera di vivere era possibile nell’India, dove il clima è dolce, ricca de’ suoi doni la natura, e pochi i bisogni dell’uomo; e ai buddhisti primitivi, che erano animati dall’entusiasmo della nuova fede; divenne, col progredire della dottrina e coll’estendersi di quella ad altri paesi, impossibile a mantenersi. Laonde la vita austera dei discepoli di Çâkyamuni dovette modificarsi secondo i tempi e i luoghi. Già in alcuni degli antichi scritti disciplinari, che portano il nome di Vinaya, si fa menzione dei religiosi buddhisti che nella stagione delle piogge, lasciando i campi e le foreste, cercavano un rifugio presso gli abitanti della campagna e dei villaggi. E passando dai cimiteri, dalle foreste e dai campi, alle grotte, alle celle, ai monasteri, vediamo finalmente questi seguaci del gran mendicante Çâkyamuni, di questo lontano precursore di S. Francesco, in possesso di que’ ricchi e sontuosi edifizii, che per la loro magnificenza fanno l’ammirazione dei viaggiatori che visitano il Tibet, la Mongolia, la Cina, il Siam, il Kamboge, la Birmania, il Ceylon, tutti i paesi insomma, in cui domina la religione del Buddha.2
- ↑ Wassiljew, p. 15.
- ↑ In vero le tradizioni buddhiche parlano della erezione di monasteri sino dal tempo, in cui viveva Gautâma. E per non parlare che dei principali, Vimbasara, Raja del Magadha, fabbricò