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parte prima | 71 |
S. Francesco; ma a differenza di questi, e non ostante il nome, era loro proibito di domandare elemosine, ma solo accettarne, se venivano loro offerte dai fedeli, purchè non si fosse trattato di denaro: che non era loro lecito prendere alcuna moneta, nè altra cosa che avesse del superfluo. Ogni mattina, a certe ore stabilite, i monaci uscivano dai loro conventi, e s’aggiravano silenziosi pei vicini borghi, e ricevevano, in certi vasi che essi tenevano apposta, le offerte volontarie del cibo che doveva servir loro pel giornaliero campamento: non di rado era un giovane discepolo, o novizio che dir si voglia, che andava accattando a quel modo, pel maestro, le offerte del popolo laico.
Çâkyamuni fu il fondatore di questa confraternita; e per quel che concerne la pratica della vita religiosa e i precetti della disciplina, a cui dovevano conformarsi i monaci, egli stesso ne fu il modello, e venne perciò chiamato il Mahâbhikshu, o il «Gran Mendicante». Infatti nell’eremitaggio d’Uruvilvâ, noi lo abbiamo visto non solo stabilire i principii della sua dottrina e del suo sistema, ma stabilire inoltre le regole della disciplina, che egli doveva proporre più tardi ai suoi adepti. Fin d’allora ne prese le abitudini, come se appunto volesse dare un esempio della vita del religioso buddhista. E la leggenda ce lo presenta, che va di luogo in luogo, di foresta in foresta, senza casa nè tetto, riposando all’aperto sul suolo, vestendo un abito che si cucì da sè stesso col rappezzare alcune luride vestimenta trovate in un cimitero, e raccogliendo di giorno in giorno il cibo che gli abbisognava, in una tazza, sola cosa che possedesse oltre l’umile vestito che lo copriva. Tale è pure la vita dei bikshu, o dei monaci mendicanti de’ primi tempi. Eglino dovevansi, ad imitazione del Buddha, radere i capelli, e