dal dolore; obbietto che s’è trovato comune anche agli altri sistemi filosofici dell’India, tanto teisti che atei. Ma oltre alla diversa via, che queste diverse scuole filosofiche percorrono per arrivare al fine, il punto ove principalmente si distingue l’opera del Buddha da quella degli altri filosofi, è la riforma, alla quale valorosamente egli si pose a capo, e senza la quale non avrebbe fatto che aggiungere un’altra scuola alle tante che pullulavano nell’India; e avrebbe resa la sua dottrina sterile e vana al pari delle altre. Tutti gli uomini sono eguali innanzi al dolore. L’abolizione delle caste avrebbe dunque dovuto essere la necessaria conseguenza d’ogni dottrina, che, riconoscendo il dolore come retaggio dei mortali, si fosse affermata capace di liberarneli. Di tutti i filosofi indiani però, il solo Buddha ebbe il coraggio di comprendere tale conseguenza; e di mostrare col fatto, che la sua scienza era universale, e che i beneficii di quella si estendevano agli uomini d’ogni classe. Infatti, mentre i maestri brâhmani, facendo monopolio de’ loro insegnamenti, sdegnavano gli uomini di casta inferiore, e mentre filosofi di altre scuole esponevano le loro dottrine ad un numero relativamente piccolo di discepoli e di adepti; Çâkyamuni animato da un coraggio che rasentava l’audacia, e da un sentimento di compassione scevro di parzialità, non facendo distinzione tra uomo e uomo, tra nazione e nazione, predicò la sua Legge ai brâhmani, ai kshatriya, ai vâiçya, ai cûdra, ai cândâla; e in ognuna di queste classi trovò credenti, discepoli, apostoli. Tanto grande anzi apparve la rivoluzione ch’ei portò nelle idee sociali e religiose dell’India, che molti del popolo ne furono spaventati, e dicevano: il figliuolo dei Çâkya ha perduto l’intelletto.1
- ↑ Klaproth, Journ. as., vii, p. 181.