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64 | parte prima |
moti. In un inno a Purusha (Purusha sûkta), del decimo libro del Rigveda, si fa menzione delle quattro caste ora nominate. «Il creato, dice l’inno, è solo una parte di lui (Purusha): dalla sua bocca uscì il brâmano, dalle braccia il guerriero (râjanya o kshatriya), dalle cosce l’agricoltore (vaiçya), dai piedi il servo artigiano (çudra), dalla sua anima (manas) la luna, dal suo occhio il sole, dal suo alito il vento, dalla sua testa il cielo, dai suoi piedi la terra ecc.».1 Purusha, il sole vedico, assume in quest’inno le qualità principali di Prajâpati e del Brâhman creatore. Così in un libro indiano assai più recente, che porta il titolo di Jâtimâlâ, è appunto Brâhman che produce le differenti specie d’uomini a quel modo che abbiamo detto di sopra. «Brâhman», vi si trova scritto, «creò dapprincipio i brâhmani, che uscirono dalla sua bocca; poi i kshatriya, che uscirono dalle sue braccia; quindi i vaiçya dalle sue cosce; in ultimo i çûdra dai suoi piedi»; e aggiunge poi, come se si trattasse d’animali di specie diversa: «e ognuno colle loro femmine».2 Il dogma della trasmigrazione dell’anima troncava il privilegio di casta, limitandolo alla vita presente; per modo che una tal credenza potevasi tenere come un progresso verso l’uguaglianza degli uomini. Ma questo dogma non era ammesso pienamente dai preti brâhmani, che lo riguardavano come risultato di speculazioni filosofiche: esso infatti, come abbiamo visto, apparteneva alle dottrine professate nelle scuole, dei savii brâhmani piuttosto che in quelle de’ sacerdoti.
L’obbietto della dottrina del Buddha, che adottò pur essa il dogma della trasmigrazione, fu di salvare l’uomo
- ↑ De Gubernatis, Mitologia vedica, p. 282.
- ↑ S. Hardy, Man. of Bud., p. 69.