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parte prima | 55 |
penetra in ognuna delle varie esistenze che la trasmigrazione riserba all’anima, convinti della vanità, delle cose del mondo, non aspiravano che a sciogliersi dai legami della carne e liberarsi dalla necessità di rinascere. Componevano essi una comunità religiosa; vivevano nel celibato, mendicando la vita alla guisa de’ frati francescani; e si davano a meditare sulla condizione infelice d’ogni essere vivente, sulle passioni, sui desidèrii, su tutto quel che è creduto origine di quella infelicità, sulle idee fondamentali in somma della dottrina buddhica, fino ad avere in abominio ogni affetto mondano. Per tal modo giungevano i monaci a separarsi dalla universalità degli esseri; e alla loro morte speravano godere quella quiete e quella pace, che, non credendo possibile trovarla in qualsivoglia condizione dell’essere, essi cercavano nell’annichilazione di questo, cioè nel Nirvâna.1
In che consiste questa dottrina, che aveva la grande possanza di liberare l’uomo da qualsiasi modo di vita, dalla necessità di patire l’esistenza? e in che essa dottrina si distingue da quelle delle altre scuole filosofiche del tempo? — Lo studio delle scritture canoniche della religione buddhica ci dimostra chiaramente lo svolgimento e le variazioni, alle quali essa religione andò soggetta; e ci può ricondurre con sufficiente certezza alla dottrina dei tempi primitivi. Per questa via s’arriva a conoscere, che soltanto nelle Quattro verità debbesi cercare l’antico Buddhismo; e che esse sole, o ciò che si riferisce ad esse, di tutto quello che le leggende fanno dire ed operare al Buddha, hanno apparenza di autenticità.
Il compendio delle teorie di Gâutama e l’affermazione delle Quattro verità della fede buddhica si contengono