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32 | parte prima |
dei giganteschi alberi di Ficus religiosa, ornamento delle foreste dell’India, che, secondo le scritture canoniche, il principe di Kapilavastu si trasformò nel Buddha, ossia nel Saggio dei saggi, in colui che è in possesso della vera dottrina, la quale sola può togliere gli esseri «dall’oceano della trasmigrazione, e condurli ad uno stato di riposo eterno e di eterna quiete». La leggenda conserva le parole che Çâkyamuni, nell’atto di divenire Buddha, si vuole pronunziasse, quando all’ombra dell’albero sacro si sentì come rivelata la verità.
«Ho trascorso, egli disse, per infinite esistenze, cercando l’artefice di questo ricettacolo di concupiscenza, che chiamasi uomo,1 e doloroso rinacqui sempre».
«— Finalmente ti vidi e ti conobbi, o artefice di vita! e tu non fabbricherai più per me questo albergo di passioni e di appetiti. Io spezzerò i tuoi arnesi; disperderò le tue pietre».
«— La mia mente riposa per sempre; ogni desiderio è spento nel mio cuore».2
Per sette giorni stette il Buddha in quel luogo, in continua meditazione; tenendo seco stesso i seguenti ragionamenti, che epilogano i principali punti della dottrina,
- ↑ Questo passo del testo Pali è tradotto dal Max Müller: «looking for the maker of the tabernacle» (Dhammapada, p. cii). La parola tradotta da Max Müller tabernacle, e da altri house, abode, vuol significare l’uomo, «the abode of the passions i. e. the human frame» (Turnour, Mahâvançâ). Lo Spense Hardy traduce questo verso: «Seeking the architect of the desire-resembling house» (Man. of Bud., p. 180).
- ↑ H. p. 180. — Dhammapada, 153-154. — Secondo il Lalitavistava, le parole che Siddhârtha pronunziò, sono: sunkâ âsravâna punah sravanti. «Le passioni sono spente, nè torneranno di nuovo».