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30 parte prima

subito mutamento, che essi giudicavano riprovevole, fuggirono da lui e lo abbandonarono.

In quei sei anni di eremitaggio nelle solitudini di Uruvilvâ, Çâkya ebbe anche a sostenere un’acerba lotta collo Spirito del male, il quale tentollo con ogni arte, disputandogli il possesso della Scienza e della Perfezione. «I desidèri, la noja, la fame, la sete, le passioni, l’indolenza, il sonno, il timore, il dubbio, la collera, l’ipocrisia, l’adulazione, la fama, le lodi e il biasimo sono i soldati del Demonio», dice il Lalitavistara, e Mâra, il tentatore, li adoperò tutti contro Çâkyamuni. Ma il cattivò genio rimase sconfitto, e si ritirò nei suoi dominii, umiliato e confuso.1

Siddhârtha, abbandonato dai suoi discepoli, si trattenne, per alcun tempo ancora, solo nel suo eremitaggio; dandosi con tutte le forze dell’animo allo studio e alla meditazione. Fu a Uruvilvâ infatti che incominciò a porre le basi della sua dottrina, le pietre angolari dell’immenso edificio buddhico. Due fanciulle, figliuole del signore del villaggio vicino, Nandâ e Nandabalâ, andavano giornalmente a lui, portandogli il riso e il latte, che servivangli pel nutrimento quotidiano.2


  1. Lalitavistara, p. 252. — Burnouf, ii, p. 443.
  2. In altre leggende il fatto è narrato come segue. Mentre Çâkyamuni meditava il Nirvâna, sotto l’albero sacro, una giovane donna, per nome Sujâtâ, gli apparve e lo adorò, offrendogli del riso e del latte. Ella, che aveva scambiato il Buddha pel Genio degli alberi, lo pregò per ottenere un buon marito, e un figliuoletto. Fu appagata de’ due desideri, e la giovane per riconoscenza continuò ad apportare cibo al filosofo solitario, che ella aveva preso in iscambio d’una divinità silvestre. (Bigandet, p. 71; — Hardy, M. B. p. 166; — Wheeler, History of India, iii, p. 118, 150). — Oltre le due fanciulle sopra mentovate, si parla, in alcuni rac-