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IL BARETTI

MENSILE Le edizioni del Baretti TORINO

ABBONAMENTO PER IL 1926 L. 10 Estero L. 15 - Sostenitore L. 100 - Un numero separato L. 1 CONTO CORRENTE POSTALE

Anno III — N. 2 — Febbraio 1926


SOMMARIO: BARETTI: I “divoti„ di Fiandra - Dacadenza del Panzini — S. ALFIERI: L’ultimo Ojetti - I tempi di Barrili — G. di ZENO: Il teatro di G. Marcel — E. A. BARATINSCHI: Auspici - La fuga In Egitto — G. MIRÒ: Il signor Cuenca e il suo successore — M. GROMO: Propositi d'eccezione — A. CAVALLI: Michelstaedter — P. SIMONESCHI: Teatro teatrale.

I “divoti,, di Fiandra Il viaggio fiammingo di Fromentin è ancora il testo più accreditato su cui possano fondarsi gli ammiratori di Gand c di Anversa. Il disegno psicologico della vita di Rubens come vita esemplare di pittore, il profilo sottile di Van Dyck sono stati pensati da uno storico di gemalo sensibilità. L’ultimo scrittore che ha voluto tornare su questi argomenti (i), ha allineato una strie di conferme pressoché monotone al diario di Fromentin. Queste conferme quasi non erano richieste.

Non volendo discorrere sulla base di sottintesi diremo subito che il nostro ideale di storia dell’arte è un altro. Abbiamo in mente un disegno di storia della pittura che sia come una rivelazione, per iniziati, della storia dcll’umanità.

Naturalménte si tratta di giuocarc sui richiami psicologici più sottili perchè questo specchio dei popoli non riesca ingannevole come uno schema; e deve essere ben chiaro che, disegnando le vicende della civiltà, daremo la valutazione degli artisti fondandoci su un piano di schietti valori pittorici.

Giudicando delle cose fiamminghe con queste premesse ci riescono inaccettabili alcune idee correnti. Questa pittura non nasce da una dominante ispirazione religiosa: tutte le idealizzazioni che si sono fatte del misticismo di Van Dyck c di Memling fanno ridere: ò vero l’opposto. La realtà è che la pittura fiamminga anche dopo la prima violenta rivelazione plastica di Uberto Van Eyck si libera lentamente dallo sue origini che sono nel mestiere del miniaturista e deU’iflustiutoro. I nostri critici prendono per purezza di sentimento religioso quello clic è rigorosa osservanza di regole calligrafiche e mestiere angusto anche se talvolta piacevole c delicatamente decorativo. La miniatura fiamminga col suo gusto del disegno grazioso di episodi, col suo istinto di restare alla superficie apre una via senza |>ossibilità di salvezza pittorica. Se Memling non ci avesse lasciati anche alcuni ritratti ambigui di primitivo viziato, sarebbe la prova più chiara c rappresentativa del nostro discorso. Dei suoi quadri religiosi, davanti ai quali vanno in estasi i oeti >i, si può ripetere il giudizio prepotente di Michelangelo: «senza sostanza e senza nerbo». Memling è condannato entro i limiti delta stilizzazione c della calligrafia.

Questo è il destino della razza che fallisce tutte le volte che cerca il poetico fuori del naturalismo: razza negata alla religione, se potè rimanere fetide ai suoi tiranni e allo spagnolismo cattolico, mentre ai confini avvenivano le più formidabili rivoluzioni religiose Se Memling fallisce nei suoi quadri religiosi, falliranno nel secolo seguente Brill e Brcughd Velours quando sdegneranno gli angoli di umile sapore paesano per fare il paesaggio poetico.

Breughel il Vecchio c Bosch sono l’ultimR parola del genio fiammingo nella pittura. Teniers riprenderà, dopo che Iordacns l’ha reso floscio, questo stesso spirito provinciale senza confondersi con gli olandesi che pure restano i suoi soli credi. In questa amosfera di Kermesse, di paesaggio grottesco, di carne grassa e di paura dellTiifcrno i due Van Eyck c Rubens sembrano apparizioni paradossali e contradditorie.

Sono tre spiriti più alti, ina bisognerà considerarli anche essi nella loro terra clic lo stesso Van Dyck non ha dimenticato nei tentativi di evasione del suo sottile esotismo.

Sulla storia e sui caratteri di questa terra i giudizi dei critici non sono molto precisi.

Per i più è sempre Hcntivoglio che fa testo, quando il buon cardinale dice che quei valenti cattolici u sono di grande statura, candidi nell’aspetto e quasi anche più ne’ costumi». Idealizzando l’innocenza di Bruges c di Gand si pensa di idealizzare Venezia e Firenze.

Ma c’è una pagina.onestamente puritana di Schiller, fondata sulla testimonianza oculare di Comincs viaggiatore della metà del ’400 che mette ordine in tale argomento. «La costosa foggia del vestirò dei grandi, che servì poi di modello alla Spagna, e alla fine coi costumi borgognoni passò alla corte austriaca discese beni presto nel popolo, e il più minuto borghese vestiva di velluto e di seta. Alla so- (l)(l) G. Edoardo MoTTIN:: Pittori fiamminghi e olandesi — Mi’&no, Unita* 1925 - L. 65 con 120 «avole.

vrabbondanza era sot lontrata l’alterigia. I,a magnificenza e vanità nel vestire giunse all’eccesso, si negli uomini che nelle donne; il dissipamento c lusso del mangiare, giunse a tanto che superò le stemperatezze di tutti gli altri popoli. L’immorale comunanza d’ambi i sessi ai bagni c simiglianti convegni che infiammavano a lussuria, aveva sbandito ogni pudore:

nè si parla dell’ordinaria lascivia dei grandi».

Ecco i clienti per i quali Memling, Van dcr Weyden, Cristus dipingevano quadri religiosi.

Il quattrocento e il cinquecento nelle Fiandre sono già secoli di decadenza. Questo popolo non aveva saputo vincere i pericoli della civiltà: non aveva lo spirito di iniziativa c di resistenza individuale degli olandesi (Se pensate alla sottile melanconia di Ruysdael e di Rembrandt avete un esempio di pittura fondata su valori, in certo senso, religiosi: pittura di concentrazione, per la quale tiovarc un’atmosfera è tutto, e i rapporti luminosi prevalgono sul soggetto). Nati per l’agiatezza di una vita mediocre si lasciarono corrompere dai commerci e dal lusso.

Il loro cattolicismo non escludeva lo spirito del gaudente: c cosi le loro donne conservano una grassa malizia, le loro case chiudono una voracità e una sensualità tanto domestica c nascosta quanto- intemperante. Uà loro religione di peccatori non conosce il senso cristiano del |>eccato: per costoro il peccato è una necessità, una specie di viatico quotidiano, e se viene loro il pensiero di Dio, non si vergognano di ristare nella taverna n di cernere negli angoli bui delle strade dietro alla ciccia di Lcucippidi pochissimo greche. Il quadro religioso di questi «divoti» timorosi del Diavolo è una consuetudine decorativa c i pittori vi si dedicano come a un mestiere lucroso cercando di far le cose con grazia, ma senza turbamenti che rechino danno alla simmetria e agli effetti calcolati e freddi. Van tier Goes, il solo fiammingo che abbia gusti c tormenti spirituali di primitivo c clic sogni il ciclo, artista dalle deformazioni vigorose od originali, sofferente di doversi accontentare della miniatura, morì pazzo.

Dunque in Van Eyck c nei barbari paesaggi di Bouts si deve già incontrare Teniers, un Teniers, s’intende, meno generico e meno approssimativo.

Ci voleva la selvaggia originalità del misterioso Uberto per spezzare tutti i legami professionali con la miniatura e conquistare i primi valori plastici nel polittico di Gand, con il maestoso realismo della figura dcU.’£ferno padre c con i primi nudi di Adamo c di Èva.

Giovanni è suo degno crede. Talvolta, è vero, deve accontentare i donatori, deve rassegnarsi al quadro religioso, ma si prende la rivincita nei ritratti con una originalità strepitosa. La solidità del suo realismo è spesso addirittura perversa. Nel Ritratto degli Antolfini, nell’Uomo dai garofani, nel Timoteo di Londra, nel Cardinale Albergati ci ha lasciato una specie di epica del naturalismo, un* anatomia squàllida, non velata di ipocrisie ideali, di un mondo malizioso e malato. Guardale le Madonne di Van dcr Racle, o del cancelliere Rolliti:

esse hanno un significato strettamente decorativo e la potenza del seguo, fondamentale in questo nordico è tutta concentrata nelle figure dei donatori, specialmente in Van dcr Paele, il ritratto più solido che Van Eyck sia riuscito a realizzare in un ambiente proporzionato di toni e di architettura, anche se ridotto a mere pretese di schematica decorazione. (L’architettura degli interni fiamminghi, su cui si è fatta tanta retorica è sempre esclusivamente decorativa: un’eccezione è Vai» Orlcy il solo gotico clic non si sia fatto bastardo venendo in Italia).

11 San Francesco di Van Eyck può valere meglio di tutte le nostre prove per sconfessare la leggenda che fa di questo smaliziato osservatore di psicologie un grande pittore mistico.

Parlare di aria aperta nel San Francesco sarebbe ironia: manca l’avventurosa esplorazione dell’ambiente, che primo tentò Thierry Bouts, c il plastico cede al professionista del quadretto religioso. Masse compensate nel modo più generico e convenzionale con l’artificio dello specchio di acque al centro: toni grigi, particolari senza arguzia c la grazia del paesaggio ottenuta col disseminare invisibili puutolini chiari sul verde e puntolini neri sul bianco lontane delle case. A queste artificiose delicatezze per commissione lasciateci preferire la violenza del ritrattista.

Sólo Breughel il Vecchio ha saputo trovare in questo mondo di peccatori dopo che Bosch li aveva mandati tutti all’Inferno, un’innocerza paesana e buontempona. In Breughel parla un Til Ulcnspicgcl cattolico, che si serve dcll’Al di là come di un complice necessario, a beffatore della peggiore specie, il quak- canzonava senza tregua il prossimo suo, ma senza mai dir male di monsignore Iddio o della Signora Santa Vergine o dei signori Santi».

Breughel è il solo pittore fiammingo nel quale i valori episodici ed emotivi oprino con suggestione fatata. Anche quando egli tenta le più grottesche allegorie e le più complicate costruzioni sa trovare il particolare i>oetioo, utilizzando la scenetta e persino il naturalismo fotografico. Ma sopratutto egli è il primo fiammingo che scopra il nuovo mondo dell’arra apetla e inventi rapporti svariatissimi, con toni miracolosi, tra gli uomini e il paesaggio. E’ strano clic Fromentin non se ne sia accorto.

Fromentin era tutto intento a capire Rubens c sul suo tema ci ha lasciato ])OCO da aggiungere.

Rubens trova tutte le vie aperte, tutte le preoccupazioni svanite, c lo stessa decadenza ormai irrimediabile, ma incapace di turbare la sua vita di uomo di corte. Spirito di dignità superiore, padrone non servo, sicuro di armonizzare la sua vita c di esercitare un prestigio etico goethiano, uomo libero e completo, Rubens può essere, rimanendo fiammingo, in anni di tramonto, un pittore di Rinascenza, può realizzare il. sogno che aveva resi goffi Mabuse e Floris. E’ diventata una mo’.’n parlare del «renio Hi Rubens con molte limitazioni: non si vuol riconoscere che il suo stile non è mai mediocre. Ma chi fosse giustamente diffidente davanti alle carni gloriose di Elena Fourment cerchi il Rubens dei ritratti c degli studi e dei paesaggi, i toni delicatamente dorati dei quadri faiùigliari del Louvre e di Londra, i particolari sottili c ambigui.

Soltanto alla superficie egli è il pittore rappresentativo di un mondo di gaudenti e di l>evitori: raramente l’hanno abbandonato il controllo poetico e la curiosità spirituale.

Rubens annunciava una Rinascenza ingannevole clic è finita con lui; Anversa è vinto da Haarlem, da Leida, da Amsterdam; il più grande allievo di Rubens corre mezza Europa c muore quasi inglese.

’Certamente nè Stevens, nè Leys, nè De Groux, nè nitri moderni hanno ritrovato il segreto pittorico dei loro avi naturalisti e viziati.

Baretti.

Decadenza del Panzini ìm decadenza di Panzini comincia con fa ijucrra, <<** in a/ijicna i libri di Panzini hanno Irò rato un pubblico.

Hal 1893 al 191-1, in ccntidue anni Panzini ha reniti! ici libri di /toesia: Il libro dei morti, Gli ingenui, Piccole storie «lei mondo gronde, Le fiabe «Iella virtù, Li Innternn di Diogene, Santippe. Pai 1918 al IW.> ne ha stam/Hiti dicci.

Prima del 101-1 Panzini s’accontentata di estere un |»ro/èWi)rc di «ruote medio, rimiro libri di lc»to, natologie, traduzioni. Era l’onesto letterato carducciano, •/doso del mo piccolo mondo lirico 11 asfaltico, al //itale ccrenea un’csprvstiimc sobria nei momenti felici, nei momenti di necessiti) poetica. Ora i’anzini è passalo da Trecca <1 Mondadori, è diventato un professionista delta letteratura, turile su due libri all’anno e senio il durerò di dire la sua sui principali arcenimcnli che corrono.

Ebbene i <jindizi di Panzini sui falli del giorno non ei conducono: la sua filosofia non ci interessa. Panzini mi ari uomo semplice, un turino che portava il ricordo di altri tempi e non orerà bisogno di polemizzare coi tiri perchi ti Irorara frojijto bone u cicero eoi morti: la «tra prosa ri /tartara «n sapore di idillio.

Quando ha cominciato a parlare ili bnlscodsmo, di crisi sociale, di necessiti) delle tradizioni Panzini non ha saputo direi altro che, scusate, sciocchezze. E’ uscito fuori di Iorto. Percht Panzini di queste case non s’intende ha ostentato imo scetticismo che il pubblico prende per superiorità ed è soltanto ignoranza.

Il suo mondo hit petduUr i/ud dolce rdo di pudore delle cose antiche; la nostalgia i diradata esibizionismo ed ostentazione; trodamu un ’aridezza mascherala e scontrosa, una randa manierata c gonfia. E Panzini erede di accr lineato lo stile polemico ed umoristicol t’n filosofo romagnolo non si |«aò accollare se non commensale.

In i/ucste Damigelle (Trercs, 1921»), quando Panzini cuoi tornare ai laotiei antichi e schietti (per. es. Amoro (l’altri tempi, N’orcttn, ere.) si cede che la sua rena i inaridita. Troppe parentesi, troppe riflessioni estranee lo tarlinoli: e qua mio si ammirerebbe l’idillio s’inconlrano pagine ili mi patetico zuccherato, tenero, senza freschezza.

Perciò mi opti» libro nuora che stamperò Fantini facciamo proposito di non tornine piò dal libraio, ma di riprenderò dallo scaliate Lo Halle della virtù.

L’ultimo Ojetti Questa volta Ojetti giuoca sul titolo: Scrittori che si confessano. Da Tantalo, cronista mondano, il lettore si aspetta subito colloqui maliziosi, incontri eccezionali, interviste topiche, rivelazioni, varietà. Trova una raccolta di articoli, una raccolta di «recensioni», quali potrebbe scriverle Arnaldo Fratelli e raccoglierle Fausto Maria Martini.

Un libro di critica frammentaria, psicologica, ironica, alla Sarcey, lo saprebbe scrivere oggi, molto meglio di Ojetti, Marco Praga, che non è stato fatto senatore, o Sibilla Aleramo, che non sarà accademica. Ojetti mi sembra troppo libresco per discorrere di un libro col dovuto distacco: voglio dire che la sua mondanità è tutta letteraria c nella sua ostentazione di buongustaio si indovina ancora la polvere della biblioteca. Le sue risorse di lettore si riducono a cercare l’aneddoto e la boutade che per il conte Ottavio costituiscono una specie di dovere professionale: ma in questo tempo eccogli sfuggito ciò che dell’opera era essenziale. La sua psicologia di cauto uomo libresco deve giuocar d’astuzia quando si chiederebbe allo scrittore di mettere le carte in tavola; egli ci elude con una digressione quando si credeva che ci avrebbe lasciato misurare una buona volta le sue doti effettive: cosi le citazioni gl» riescono sempre meglio dei giudizi e dei commenti e» suoi libri hanno il fascino delle antologie.

Non inciterebbe dunque conto parlare degli Scrittori che si confessano se non precedesse le recensioni una Lettera a Benedetto Croce che fa applaudire Ojetti caposcuola e capocritico dai gazzettieri suoi amici.

In codesta lettera io ho trovata soltanto la gentilezza un poco untuosa di sacrestia con la quale Ojetti si studia, di farsi sopportare dai potenti, e che non sdegna poi concedere agli altri mortali se appena gli venga il sospetto di poterseli rendere famuli o clienti.

I,a scoperta di Ojetti sarebbe la critica alla francese, la critica biografica- Ai «giovani canonici del basso crocianismo» il conte Ottavio oppone la critica del cronista «< che cerca l’uomo, per riflesso o per contrasto, nella poesia da lui creata, c che più si commuove quando ve lo trova e riesce» misurare il ritmo del verso sul ritmo di un cuore».

I termini non sono perfettamente precisi e appropriati, ma chi cerchi di indovinare c non voglia discutere di estetica col conte Ottavio può fingere di aver capito. Ferdinando Martini contro Vosslcr, Ojetti contro Luigi Russo.

Siccome noi preferiremo sempre un ritratto psicologico, arguto e sottile a un ragionamento gentiliano, questa tesi potrebbe anche non dispiacerci. Ma c’è il libro di Ojetti che dà torto alla prefazione.

II metodo — la critica psicologica — è antico come Plutarco e Ojetti, per la sua moderata cultura, l’ha appreso da Vasari. Se qui il metodo non giuoca la colpa sarà del cervello che lo applica.

Cercare Titanio non si può senza compromettersi: chiusa la ricerca non si è trovato che se stessi. Un critico si scopre, si smaschera prima di un romanziere. All’Ojotti può riuscire garbatamente la barzelletta c l’ironia facile: aiutandosi con molte note di taccuino c lavorando di vocabolario con l’impegno e lo spirito di sacrificio di un canonico ben piantato ci avrà combinate alla fine della settimana tre colonne pulite tra elzeviri tondi del Corriere c corsivi della Fiera; persino in una Esposizione d’arte Ojetti riuscirà il cronista più vario, più piacevole, più eclettico, più piouto a indovinare nell’aria l’aneddoto o la indiscrezione, se già non glieli hanno sussurrati gli amici che egli sa scegliere con felice abbondanza da Sartorio a Carrà, da Carena a Soffici.

Tolto al pettegolezzo del gazzettiere contemporaneo Ojetti è spaesato: perde la sua leggerezza c la stia malizia; le pagine di bravina c il conforto del vocabolario non nascondono l’imbarazzo dell’uomo di salotto traghettato, per un improvviso colpo di testa di Caronte, nei Campi F.lìsi tra ombre esperte c un pochino sfrontate che gli leggono in cuore oltre il velo sottile delle paroline complimentose.

Insomnia l’Ojetti è rimasto il Conte Ottavio.

Nei tentativi di critica psicologica ritrae se stesso c i suoi personaggi dunque sono tutti un poco fatui.

Davanti a D’Annunzio, davanti a Tolstoi stesso il solito specchio che appena poteva valere per Ferdinando Martini, maestro, modello t ideale da cui Tantalo non può scostarsi mai.

Ma D’Annunzio e Tolstoi visti con occhi complimentosi c zuccherini! Anche se Ojetti capisce di dover modellare statue eroiche sai