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IL BAR ETTI Pag. 117 Alcune liriche di R. M. Rilke Il ritorno di Giuditta. (Inedito) O voi ohe dormite I ancor son nere J’umide macchie sili piedi mici incerte * forse rugiada... Ahi Giuditta, Giuditta io sono! E da lui vengo, dalla sua tenda, dal letto suo, cd il suo capo mi si dissangua in mano... O sangue tre volte ebbro 1 ebbro di vino, di profumi ebbro, ebbro di me! — cd ora gelido quale rugiada. 0 capo, basso tenuto sull’erba mattutina, ma io, su, in vetta del mio cammino, io, si alto inalzata 1 O fronte di repente disempita, o sogni col sangue nella terra scorrenti.... ma, nel mio cuore esultante tutta la forza dcll’ntfo che fui Qual amante son io! Terrori in me strinsero tutte le voluttà, su di me porto tutti gli amplessi. Cuor mio, o cuor mio glorioso, batti contro il vento c va, e va! E più rapida in me la voce, la voce mia.... ucccl cantore che chiama la dolente città. Il Studio per un San Giorgio. (Inedito) Perchè fulgc qual candida fiamma, perchè guardo alcuno giammai lo sostenne, 10 serbano i cicli semine ascopo. Pensa: rompesse l’equino ferreo petto c il frontale il mattino nuvoloso sovra il parco del maniero, e per Parttico [ombroso viale scendesse in cauto passo di danza leggera 11 bardato destriero, con Panni lento solcando, [qual neve la via del suo splendor 1 Mentre argenteo sul corsiero d’argento e non lécco da nebbia o brina, sorge l’elmo, chiuso, lucente, con nel volo del suo cimiero fresca brezza del primo umttino. E scendendo, repente, appare tutto argento il bianco guerriero, tutto brilla di luci squillanti c si drizza nel pugno la lancia, un baleno che in alto sen va «lai muto parco che intorno a lui si chiude. Ili Fontana a Roma (Da ’‘Die neucn Godichte,.). Due vasche: c l’ulta l’altra sormonta nell’antico marmo clic a lor fa cerchio. E l’acqua dall’alto piano s’inchina ver l’acqua che in giù l’aspetta e muta si volge a lei che sommessa parla, e segretamente, quasi con socchiusa malto, il ciel le mostra oltre il verde c l’ombra, conte sconosciuta ntirabil cosa. Se stessa tranquilla stende nella bella coppa senza duol d’esiglio; cerchio da cerchio cresce, sol talvolta trasognata, a goccia a goccia, scender si lascia lungo il pendente muschio, fino all’ultimo specchio, che profondo e cheto nella vasca sorride, tremulo, fra ombra c luce. IV (Inedita) T/issù, dietro gli alberi innocenti, il fato antico lentamente foggia la muta sua faccia. Solchi profondi’ vi si stendono; e lo strido d’un augello clic qui si lagna, Ivi, quale impronto dolente, si slacca •bilia dura profetica bocca. Ahimè! c coloro clic in breve amanti saranno, si sorridono ancóra e non sanno l’addio; ni di sopra di essi, girando, sen va il loro destino, in segno di stelle nell’estasi notturna. Per esser vissuto fino a loro ancóra non scende, ancóra dimora, aereo, sospeso nel mobile cielo, ^utasma leggero. (Do “ Die neuen Gedlchte „). Cavalca il cavalier in negro acciaio là fuori, ove il mondo scroscia e freme. E v’è tutto là fuori: i di e le valli, l’amico c il nemico, e la festa nelle sale, e il maggio c la donzella, e la selva e’I [santuario, cd io stesso, le mille volte, eretto per ogni calle. Ma del cavalier entro la corazza nera c dietro il suo pugnar più aspro si rannicchia la morie e sempre sta pensando • quando mai, quando inni balzerà la lama, la liberatrice lama straniera, che mi trarrà fuor dalla mia tana, ove da lauti giorni curva nti tengo. perch’io possa alfine stendermi, cd ni fin suonare, c cantare VI La Cortigiana (Da ’* Dio neuen Gcdichte „). Il sol di Venezia alle chiome mie fornirà quell’oro, di ogni alchimista gloriosa mèta. Le mie ciglia sono a ponti uguali. I,e vedi tu sovrastare al muto periglio degli occhi, che un segreto fato unisce nll’ncquc - si clic il mare in lor cresce c scema c sempre cangia. Chi una volta mi vide, il cane mio invidia, che spesso su di lui, distratta, posa Quella che mai nessun ardor consuma, la non feribile, l’inanellata mano; e giovanetti, speranze di case mitiche, strugge, attossicata, la bocca mia. Anche queste poesìe del poeta tedesco R. M. Rilke, morto il 29 dicembre 1926, come il poemetto Orpheus apparso nel numero di settembro», sono state tradotte in italiano dalla principessa Maria di Tlmrn und Taxis clic gentilmente ha permesso al Garetti di pubblicarle. lYe/f’Orphcus il verso «ed un delizioso stellato ciclo» dovevasi leggere invece: «cd un silenzioso stellato ciclo». Lo “ Stundenbuch „ di R. M. Rilke Col Rilko la storia della letteratura tedesca ha un ricorso di quel misticismo assoluto cho sembra tradurre in alto l’etimologia rigorosa della parola: chiudor gli occhi corporei sul inondo conosciuto, j>or affisar quelli doU’anima noi misterioso mondo dove s’agita Dio. li poiché l’ignoto s’insimia in ogni parto, adombra ogni cosa, penetra giù nello latebre più profonde del nostro essere e, pur dissimulando» oontinuamento in una proteiforme versatilità di aspetti e sotto una centuplice maschera insfaldabilo ed inscalfibilc, sempre con la sua invisi, bile ma sensibile presenza ci tonta 0 provoca, questo misticismo si risolvo in una perpotua vigilanza a spiare 0 cercare la divinità..Solitudine, silenzio, ascesi; ma non in una tranquilla attesa conte di una speda! grazia cho si conceda, si invece in una continua irrequieta ricerca dcll’Inafferabilo che appena apparo, sguscia 0 sbalza, si trasforma c sfugge, pronto ad illudere cd a deluderò. Tal misticismo b lontuno da ogni teorizzazione teologale e da ogni preoccupazione di religiosità pratica. E’ sì, un conato di arrivare, come dice S. Tomaso, alla «Visio essentiae Dei» ma là tutto ciò rimane arida materia dottrinale 0 campo a sottili distinzioni scolastiche, qui produce uno stato d’animo che ò di per sé stesso prossimo ulla lirica. In Uilke la tendenza alla vita intcriore ai converte praticamente in una predileziono degli ambient: silenziosi, dei paesaggi ricchi di suggestività spirituale, in una ricerca del prossimo cho abbia con lui dello affinità elettive. Nell’elogio cho egli fa dello scultore Rodin, suo compagno e maestro, sembra esposto il programma ideale della sua vita. «Egli mi ha insegnai? tutto quello che prima non sapevo, tutto quello, itoi, che sapevo mi ha chiarito coll esempio della sua vita tutta protesa verso l’infinito, del suo formo amore alla solitudine da nulla mai turbato, e del suo grande raccoglimento in sé stesso». In queste confessioni troveremmo, se fosse necessario, il segreto della sua personalità. La sua anima gravita copra un nucleo di impulsi c sentimenti irresistibilmente volti al misticismo: di irraggio la sua attività artistica molteplice e pur una d’ispirazione. TI libro cho meglio lo rappresenta è lo «Stundenbuch» (Libro d’Ore). Nei paesi germanici, la pianta della mistica v sempre allignata prosperosa. I primi vivai furono nei conventi Domenicani, maschili e femminili. Vennero poi gli «Amici di Dio» (Gottesfrounde) che pur non allontanundosi dalla chiesa, menarono una vita contemplativa in un’ombrosa diffidenza d’ogni esteriorità puramente liturgica; e i «Fratelli di vita comune» (Briidcr vont gemeinsamon Lcben) dalle cui file uscì il famosissimo Tomaso da Kcmpcn, probabile autore dell’*Imitazioni! di Cristo*. Nel silenzio dei chiostri o comunque nella solitudine prescelta, entro o fuori i confini segnati dell’ortodossia, t utte quest anime ascetiche agognavano al povfezicuamento morale, alla mistica unione con Dio; ma quando scrivevano, comunque si chiamassero: Ildcgardo di Ringen, Matilde di Magdobmgo, Mastro Ecl»a:t, Giovanni Taubei o Giacomo Bohme, non potevano prescindere da scopi pratici di odifiraziono cristiana 0 di proselitismo. Onde era naturalo che il loro fervore lirico si dissipasse subito nei toni oratori della predica, nello ingegnosità dello similitudini, nello peregrine trovale doll’iipologo. nelle nottilizzazioni teologali’, nello iatture apocalittiche di seconda matto. Nessuno sapeva o voleva porsi al disopra dello quest ioni dogmatiche, per esprimere nella prima suggestione dell’estro i sontinu-iiti che l’affanuosa ricerca di Dio suso-tava nella sua anima soggetta ad una vicenda di dubbi 0 scoraggiamenti, di conforti a giubili. Por trovare un atteggiamento simile a quello del Rilko, fu notato anche da altri, bisogna scendere fino al Silesius (Giovanni 8chcfTlor). In Lui l’esaltazione mistica era tutt’uuo con I esaltazione lirica: nessuna considerazione estrinscca polova far da remora al suo impeto; noi. la preoccupazione dcU’orosia, non il pensiero di pencolar sulla china del panteismo. Dio ora quale lo» sentiva lui Ora egli avvorti va chiaramente che il più piccolo non può comprendere il più grande, che bisogna essere con da mino, ma dappiù di Dio, per abbracciarlo e servirlo. «Signore non in! basta servirti angelicamente «c inverdire ni tuo cospetto nella perfezione degli Dei; «ni mio spirito ciò ò troppo ineschino c abbietto: «olii vuol servirti degnamente dev’essere più elio [divino %. libertà più sconfinata era l’unico ricet’.u colo allo spirito incontenibile di lui. • Dov’ò In min sedo? Dove io c Tu non stiamo. «Dov’ò l’ultimo termine, cui debbo tendere? «Lè dove termine non c’ò». Dio stesso corno può vivere senza chi l’avverta? «Solo die senza di me Dio non può vivere un istante «So io m’amiliIlo, egli devo necessariamente morire». L’esistenza di Dio e delle sue creature dipende fatalmente da un reciproco aiuto. «C’6 tanto di Dio in me, quanto di mo in Lui. «Io coopero alla sua cvsenza, quanto Lui afta mia». Il niente 0 il Lutto sono due termini cho si equivalgono. «Ln goccia diventa il mure, quando va al mare «l’anima Dio, quando Dio Vaccogìio». In una. Wcllaiuchauim). consimile si muove anche il Rilkc. Sdnonclih il Silesius è più irniente od enfatico, il poeta non sempre toglie la tonaca dol (rato; il Rilko è più calmo ed obbiettivo, mono gagliardo ma più versatile. I,a sua anima d’artista moderno ha superato i limili di ugni polemica e non spiega la voto eho al canto. Canto Inno che smuore spesso in un sussurro, in un languido arpeggio, in un pianissimo tre’ moioso, in noto flautato di violino, quasi voglia adeguare la leviti di Dio che ù sopratutto silonaio, eco remota, voco tenuissima, soffio sfuggevole. «Tu vieni c vai. Le porte si serrano «molto più piano, quasi senz’alito. «Tu sci il più leggero di tutti, «di tutti quelli clic pa-sMino per lo case silenti. «Ci si può cosi abituare 11 Te, «da non alzar gli occhi dal libro, «(piando le sue figuro s’abbelliscono. «ni passar delle tue ombre azzurro». «.... Come vanni, centomila arpe «ti sollevano diti silenzio». «tu Ini una nnmera d’cvsero rosi leggera; a coloro clic li dedicano non:! «onori, «si sou giù dimenticati.Iella tua vicinanza *. Una vi.danza assidua, che ò quasi un’aderenza: impalpabile come l’aria ò la parato divisoria. < O coinquillino Dio. te più volte a nella lunga notte con duri colpi ti disturbo. •«gli ò elio di rado ti sento respirare, <i’ mi rhe tu sei solo nella sala, • e se hai bisogno di qualche rosa non e’ò nessuno «cito ti jiorgn. mentre brancichi, una bevanda. «Io sto sempre in ascolti). Fa un piccolo segno: • io li sono proprio accosto. • Nuli u’b clic unn soltil parete fra noi due, «|)or raso; e può darsi ««die un grillo della tua bocca o della mia bocca " la sfondi.senza rumore o suono alcuno». Dio è tutto: gagiiardia 0 debolezza, grandezza e umiltà, bene 0 male, vita e morto. «Tu sei cosi gratulo, ch’io non sono giù più, «sol elio mi ci metta vicino». «Tu sei il povero, tu sci il hullnbblente, «Tu xci In pietra che ò senza posto alcuno, " Tu sci il lebbroso reietto «elle gira por la città eoi crepitacolo». • I mici amici son lontani: «n stento odo ancor l’eco «letto loro riRn: «0 tu, «ci caduto dal nido, «sci un uccello novellino ilnll’tinghic giallo «0 dagli occhi granili 0 mi fai pietà. «La min ninno è troppo grossa per le, ««1 io tiro su dalla fonto una gocciola col dito, «o sto attento se tu arrivi a sorbirla, «c sento il tuo cuore o il mio batterò «tutt’o duo di paura». Ih tutto vi’bra la potatila eli quosta. cosa delle coso». L’universo s’identifica col granollo di sabbia: non.si c mai abbastanza piccoli per adeguare il nullatutto dolio coso. «lo son troppo esiguo nel mondo, «oppur non ubboMaiiza «per essere ai tuoi occhi una cosa «oscura c intelligente». Ma l’ignoto 6 in tutti gli oggetti, opperù bisogna amarli tutti d’mnor Datori». Il.Libro d’Ore* si potrebbe diro a qu-.ito riguardo, una parafrasi ampliissima, una int-j*. minabile variasioue d-,’ tema del Cantico del Solo di S. l’f’ni.ctvH), ’ Qualche critico tedesco ha anzi parlato di un ■ vangelo rilkcriano delle cose». «Io ti trovo in tutte queste cose ««li cui sono come un buon fratello». Si ritorna nll’univcrsalismo del Silorius. Ricordate t «Uomo, soltanto quando sarai diventato tutte le cose, ■ entrerai nel Verbo c nel novero dogli Dei!» Ineluttabilmente, invincibilmente, eternamente, l’impulso sospinge l’uomo a Dio. «Chiudimi gli ocelli cd io posso vederli, «lappami!e orecchie cd io posso sentirti; «senza piedi io posso venire a tc, «senza fiocca ti posso tuttavia.scongiurare.’ • I bisbigli più toiiui della notte sono d’uomini cho cercano nel buio, il Tenebroso, l’Introvabile, il Notturno. “ li cosi ò, mio Dio, ogni notte: • sempre co n’ò di svegliati, ■ c vanno o vanno o non li trovano. «Li senti tu camminar nel buio «col passo dei ciechi? «Io ti cerco poichò essi passano «avanti alla min porta. l’osso quasi vederli. «Chi dcbb’io invocar» so non Col»! ■ di’è scuro e più notturno della notte, «l’unico che veglia senza lampada, «c.non ha paura?» Nell oscurità lo rorze elementari dogli istinti, le virtù più profonde dell’anima sono particolarmente vivo. «Oscurità dn cui origino, io ti amo più che U fiamma • clic circoscrive il mondo».

«Amo le ore oscure dcU’csscr mio,

«nello quali i mici sensi si approfondiscono». Le citazioni ai potrebbero moltiplicaro all’infinito, ma sarebbero sempre tropi» frammenlarie per riprodurre la mirabile suggestione, dirai quasi ossessione, cho la lettura continuata del libro ti suscita della onnipresonte e perpetuamente vigilante divinità. Sommessa alituosa, aerea, la canzone accompagna conio una preghiera la mistica contemplaziono del poeta: alcunché di soffice, di morbido, di vellutato è nolle parole, nel ritmo o nel verso. Alcuni critici han creato, credo per il Rilko, la parola «Fraulieher Stil» quasi «stile femmineo», per denominare In delicata levezza della sua maniora. A’tri, badj.ndo alle sue concezioni, l’ha chiamalo «gotico» a indicare quel tanto di nebuloso o di nordico che sembra fatalmente connaturato con esso. Nel Rilko, infatti, l’aperta linea classica si rompe o sjwzza in un groviglio di punti c frastagli; al chiaroscuro netto sottentra il multiplo gioco dolio sfumatura, ni predominio del giorno c della luco quello della notte o del buio; al semplice il composto. Nel significato di corti vocaboli, sono accolto, aia puro in virtù di suggestiono, niillo sfumature, p. e. negli epiteti «latino» e «gotico» che possono stare fra di loro in posizione uutipodica. Ora i critici tedeschi che schcmntizzano ed epitetizzano quanto e più del dovere, non hanno mai adoperalo l’nggottivo «gotico» più a proposito.

OIOVANNf NECCO.