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Pag. 114 IL BARETTI fedo o conoscenza della evoluzione creatrice conio dato scientifico moderno, sebbene l’aspirazione poetica sia abbastanza chiara noi suo Imperatore o Galileo: o siccome una dello più grandi caratteristiche di l’bsen ò quella cho niento era valido per lui so non la scienza, egli si lasciò dietro come un sogno utopistico quella visiono del futuro che il suo Romano chiama La giostra 01 un nuovo secolo e del suoi profeti. Il primo calti e r di «900» ha messo finalmente l’anima in paco ugli assetati di novità: l’osso c alquanto polputo, o i cani possono rodere a piacimento. Por conto nostro, non vi abbiamo trovato xjulla da rosicchiare, e preferiamo giocarci a rimbalzello. Duecento pagine di letteratura «europea» sono ancora abbastanza leggèro. Avendo anzi temuto dei mattoni, queste le troviamo leggerissime: c di tanto risultato facciamo lo nostre congratulazioni all’amico Bontcmpelli. Ma saltiamo di piò pari la vetusta discussione sul novecento o il diritto di priorità nella scoperta e la legittimità della scoperta stessa. La priorità spetta invero al calendario, e la legittimità è data nel libero arbitrio della critica Così non facciamo neppure gran coso della prelibata invenzione di tradurre tutto in francese. Senza dubbio la novella di Bontempèlli che apre il «cahier» ci ha perso parecchio a passare dal testo italiano comparso sul «Corriere della Sera» al testo francese di «900»; e riesce sorprendenti la versatilità del signor Audisio, che traduce tutto e di tutti con il medesimo stile c la più indifferente maestria che si possa immaginare. Tuttavia Philippe Soupault e Pierre Mac Orlan stanno meglio nella loro lingua originale cho se fossero messi in cattivo italiano; e Georg Kaiser si può benissimo leggere in francese. Quanto agli italiani, alcuni vi guadagnano un certo decoro cho probabilmente noti era nella loro prosa originale. E di fronte alle intenzioni dichiarato di propaganda pratica delle nuovo idee, il quesito teorico sulla possibilità di tradurre opere d’arte viene rinviato c riassorbito in altri piò urgenti. La prima constatazione importante è che l’europeo «900» ha un colorito, almeno da questa prima prova, fortemente provinciale. Recipe. Sei decimi di ambiente letterario romano, un decimo di cultura milanese, tre decimi di senape osotica; e avrai la miscela. Bontompelli si è scelto bene, senza dubbio, i suoi collaboratori: ma non facciamo nessun torto nò a lui nò a loro se giudichiamo che siali tutti scrittori troppo di second’ordinc per bandire un verbo all’Europa. La rivista viene ad essere l’intarsio di due antologie: una di modesti ma onorati prosatori italiani, e una di famosi, ma spaesati autori stranieri. E anche nell’intarsio, quali incrinature I Si passa da un certo accordo Bontcmpelli-Mac Orlan-Soupault a una dissonante elegia tragica di Georg Kaiser; Bruno Barilli, Corrado Alvaro, Antonio Anianto, Alfredo Spaini possono ben fondersi insieme: ma che cosa hanno da fare con James Joyce? Questi sbalzi sembrano costituire l’ossatura dolla rivista, o ci si domanda se anch’cssi non facciano parto del programma. Ma il programma gravita tutta sulla questione del secolo: bisogna cominciare un secolo nuovo, o meglio plasmarlo, poiché esso sarebbe già cominciato un po’ dopo la guerra. Fino al 1914 saremmo dunque rimasti in pieno. Ottocento, indico l’idealismo. Questo idealismo, dico Bontempelli, distrusse il mondo materiale, aiutato eroicamente dagli ultimi residui del romanticismo: poi idealismo o romanticismo consumarono anche se stessi nel rogo dello guerra. E su questo rogo spirava la seconda epoca della civiltà europea, l’epoca romantica, che va dal Cristo ai balli russi. Ora il ventesimo secolo deve ricostruire: non rifare ciò cho ò stato distrutto nò, quindi, essere neoclassico o neocattolico. ma ricostruire a nuovo il tempo h lo spazio, cioè la realtà dol mondo materiale distrutta dall’idealismo nelle sue forme vecchie e viziate. Una volta ristabiliti tempo e spazio, al loro posto, nel loro valore obbiettivo e assoluto, materia e spirito si scioglieranno dalla presento ibrida mescolanza e potranno di nuovo comporsi c combinarsi in armonie infinite. Questa ricostruzione dcv’esscr fatta non dalla filosofia, che non può abbandonare le sue conquiste (meno male!), nia dall’arte: c la possibilità della ricostruzione per opera dell’arte sta nella sua capacità di creare immagini c miti, conferendo loro una realtà propria, — la quale capacità oggi ò straordinariamente sviluppata c legittima appunto l’mdifferonza di «900» alla lingua* cioè alla forma esteriore. Immaginazione e fantasia ■ il mondo delle immagini cho verrà sonza tregua a fecondare o arricchire il mondo materiale» e la folla dei miti cho arditamente e rischiosamente l’arte produrrà, ci daranno la realtà nuova, ci restituiranno l’infinità dello spazio e del tempo, — l’eternità., Analizziamo un momento questa capricciosa sintesi di definizioni a colpo di pistola o di speranzosi progetti; sia pure senza sorridere degli strafalcioni filosofici, perchè Bontcmpelli ò troppo intelligente per credere sul serio che l’idealismo abbia «distrutto» il mondo materiale, o «il terzo impero», quando si dedicò tutto alla sua seria compenetrazione della realtà in quei drammi di vita moderna con cui inondò l’Europa e ruppe le polverose vetrate di ogni mal ridotto teatro da Mosca a Manchester. Bf.rnard Shaw. (Hack (o Methuselah, preface). dei pugni cercato di fare il vuoto dov’era il pieno. (Tanto ò voro che egli protesta di voler lasciaro in paco la filosofìa). E allora troviamo subito che due elementi in pinna opposizione tra loro costituiscono il nerbo del ragionamento surriferito: uno, l’aspirazione al paradiso contemplativo dello spazio infinito («a tre ^imonsioni!») e del tempo eterno, restituiti alla loro piena obbiettività; l’altro, l’amore romanzesco e cavalleresco dell’avventura poetica, della generazione di miti a gettito continuo, creatura c cibo della fantasia. Che significa il ’ primo elemento? Trascendcuza della realtà allo spirito, celebrazione deH’oggotto posto contro e sopra al soggetto: puro romanticismo. E il romanticismo dovrebbe in poche parole, rigenerare il classicismo. Tutto questo non ò altro so non una di più fra lo tanto soluzioni meccaniche dell’antitesi classicoromantica, le quali ormai formano un rosario interminabile — e altrettanto inutile. Singolare davvero l’ingenuità dell’allegro Bontempelli, cho si erige a demiurgo disponendo di così scarsi materiali I Ma veramente dell’ingenuità non ci scandalizziamo gran fatto, perché essa oggi ò tanto comune fra letterati cho non sarebbo male una ripetizione di quella doccia fredda filosofica, che capitò loro addosso ventanni fa, e di cui Bontempelli serba cosi buon ricordo da crederò ancora che l’arte possa sostituirsi alla filosofia nel costruire teorie e mondi. Non dell’ingenuità, dunque, ci scandalizziamo, ma della prosopopea dell’uomo cho chiude il suo manifesto con una fraso di questo genero: «En regardant le dix-nouyiònie siede, le vingtiòme doit s’efforcer d’adopter uno attitude de inépris». Uno dei Verri. Autodidattismo Nell’csaltazioue che ancora si fa dell’autodidatta, concorrono tre cause. La prima di esse ò dovuta «al mito della primitiva verginità-spirituale dell’uomo che l’operaio, in quanto sog; getto meno oorrotto dalla civiltà, dovrebbe avère», messo in circolazione da Jean Jacques; — la seconda, all’umanitarismo de’ sociologi tipo secolo XIX, vedente nell’operaio un angelo decaduto che faticosamente (l’ottimistico: «Aiutati cho Dio t’aiuta!» dello Smiles) riacquista il perduto paradiso; — la terza, alla stanchezza prodotta nei lettori e spettatori dallo opere degli artisti «normali», cho fa sì che non appena un artista «anormale» viene alla luce, verso di esso si corro, per il piacere che dà l’esotico sapore dei frutti d’eccezione. A queste tre cause che in definitiva si riducono ad ima sola, alla prima, della quale le altre due non sono che derivazioni, ò dovuta la più parto della reputazione degli «autodidatti», all’Attivo dei quali vengon messi gli «inizi di carriera», i disagi sofferti c le lotte sostenute. La retorica «operaistica» del secolo umanitario cho qui fa volo impedisce di vedere i disagi c le lotte di altra natura, ma di non minore intensità cho debbono soffrire e sostenere i «professionisti dolio lettere» (per non parlare che di questi’), per arrivar ad essero quel che tanno essere il loro vero sè; cioè a dire, dogli scrittori; cioè adire «degli uomini vivi». Ancora si crede che la fatica sia solo quella che si fa lavorando coi muscoli in occupazioni coaidette «materiali», perché ancora si ignora che cosa sia la fatica. Non si vuol capire cho la fatica durata dagli scrittori «laureati ■ contro le falsità di vario geniere apprese sui banchi di scuola, ò identica a quella sostenuta dagli scrittori «auto didatti* contro le contrarie vicissitudini loro offerte dalla vita. Questa incomprensione ò precipuamente dovuta al concetto che la maggioranza della gente ha del «letterato», che viene, qui iti Italia, ancora pensato nelle storiche formo dell’Arcade e del dissertatore erudito e filologo, e fuori, in quella dello scrittore «descrittore», esclusivamente intento a ritrarrò il mondo e gli uomini «come sono nella loro empirica naturalità». Nonostante il RomatiTicismo, si ò ulietti dall’ammettere che I’artist., ò un creatore in grado di trasformare la materia inerte in ispirito vivo»; si preferisce continuar a considerarlo secondo i vecchi ricordati concetti; una brutta copia dei quali sono lo moderne preziosità dei nostrani de candenti alla francese, che quale un gioco considerano l’urle, e quali prestidigiatori gli artisti. (.’elemento etico implicito nello sforzo che l’artista fa por vincere gli ostacoli man mano parantesi davanti u lui per impedirgli il possesso del «qualchò» in cui la vita consiste, e ciò che dovrobbesi chiamare «la fatica», la quale ò sempre meritoria qualunque siano gli oggetti ohe la rendono necessaria e mediante i quali ai eaprirne: cho c indifforcnto si chiamino sacelli da rimuovere, o false regolo da infrangere; miseria da vincere, o pregiudizi morali dai quali liberarsi; — negli uni come negli altri casi non trattandosi d’altro che di combatterò la falsa vita che l’artista creatore sente viceversa quale vera morte, fintanto che una «cosa» gratuitamente da «altri» ricevuta, rimane; c fintonto che collo sforzo non l’ha vinta e non l’ha fatta diventar «viva e sua», mediante un’opera d’arto che tutta la redima e trasfiguri. L’identità dello sforzo ricordato renderebbe, da sola, inconsistente la distinzione che tuttavia bì fa degli artisti in «autodidatti • e «laureati •; se un’altra ragiouo ancora non la dimostrasso tale. A stretto rigore si potrebbe parlare d’autodidattismo nel solo caso che Adamo rinascesse ai nostri giorni, e non potesse valersi dei benefìci cho la civiltà offre; nel solo caso cioè che dovesse ab intis fundumentit rifare la storia, le varie tappo dall’umanità percorse ripercorrendo, sino ad arrivare ai nostri giorni. Ma poichò inveco nò Jack London, nò Pauait Istrati, nò nessuno di tutti gli altri scrittori «autodidatti» ò questo redivivo Adamo o tale strada ha percorso, ò necessario riconoscerò che altrettanto che gli scrittori «laureati, si sono avvantaggiati dello cognizioni e condizioni da loro trovate nel «mondo» in cui sono nati; al modo stesso che gli uni conto gli altri, in guanto artisti, tale «mondo» han dovuto combatterò per giungere all’espressione della loro iutiraità, che è per loro il • vero mondo», e per noi la sola costi che conti. Scomparsa la falsa distinzione, devono di conseguenza scomparire gli umanitaristici sentimentalismi di quei tali cho dicono: «E* voro cho nei Vagabondi ci sono delle pecche, ma non bisogtiA tuttavia dimenticare cho allorquando li scrisse il Gorki era facchino», esclus.vamente perché, tratti in inganno dal fatto che l’uomo di nome Peskow cho per vivere doveva [avoraro in qualità di facchino era una stessa persona collo scrittore Maxim Gorki; non considerano che per quest’ultimo la sita sociale condizione era una delle contrarie vicissitudini da vincerò, era il «dato* contro il quale «doveva» lottare per affermare la «sua» intimità. Che andava altro, ed ed era diversa dalla manuale fatica cho l’uomo Peskow doveva sostenere per vivere; o che ai lettori dei romanzi o delle novello dello scrittore Gorki, non interessa ner nulla, conio ai lettori del Villon non interessano i suoi delitti, ed a quelli di Verlaine la sua pederastia. Si racconta che Goethe rispondesse, ad un dotto amico cho gli esprimeva i dubbi allora correnti sulla storicità della persona di S. Giovanni Evangelista: «Che importa so sia o no esistito un uomo chiamato Giovanni il quale sia stato o no l’autore del quarto Vangelo: — ciò che imjtorta è che il quarto Vangelo sia stato scritto!» Poichò appunto quello che importa è l’opera e non l’artista; il quale per vivere può fare il facchino ed altro, ma non si farà valere per ciò quando scrive, ma si farà esclusivamente valore j>er la sua arte di scrittore cho sarà buona so ò buona, e sarà cattiva se è cattiva; senza diritto, nei riguardi della critica del pubblico a speciali indulgenze. ARMANDO CAVALLI. Questa nota di Cavalli rinnova l’impostazione di un problema che fu molto discusso qualche anno fa r poi lasciato cadere: il problema, cioè, del valore tirila cultura. Sarebbe utile che la discussione continuasse: altri continuerà, per nostra cura. Vogliamo che tra le forme di raffinammto dell’autocritica letteraria sia anche questa mise - ù - pomi del concetto di cultura; non ne può fare a meno mi movimento come il nostro che mette in prima linea la personalità dello scrittore. Sopratutto si deve bene intendere il profondo significato etico di questa indagine sulla formazione. <Itilo spinto artistico, e la sua stretta connessione con i problemi morali della cultura, (s. c.). Filosofia e poesia filosofica La philosophic, si l’ori en déduit Ics clioses vagues et Ics chosos rcfutées, so rantolio maintenant à cinq ou six problòmcs precis en apparency, indéterminés dans lo fond, niablcs à volontà, ton jours róductiblca à dea querolles linguistiquea, et doni la solution depend do la manière do les gerire. Mais Pintoret de ces curieux travaux n’est pas si anioindri qu’on pourrait le ponser: il rdsidc dans colie fragilità et dans ces quorelles memos, e’est-à-diro dans la dólicatosse de Papparoil logiquo et psycologiquo do plus en plus subtil qu’cllcs idem (indent qu’on emploie; il ne reside plus dans Ics conclusions. Co n’est done pitia fairc de la philosophic quo d’émettro des considerations mente admirable?? sur la naturo et sur son auteur, sur In vie, sulla mori, sur la dnréc, sui la justice... Noi re philosophic- est dófiuio par son appareil, et non par son objet. Elle ne puut so «(Sparer de ses difficulty» proprcs, qui constituent sa fornir, ot olle no pronti rait la forme du vera s»n«perdio son ótre, ou sans corrompro le vera. Parler aujourd’hiii du poesie philosophiqhc (flit-co eli invoquant Alfred tic Viguy, I.cconto de Lisle, el qiiulques autres), o’ost nal’vemcnt con fornire des conditions et des applications de l’esprit incompatibles elitre elles. N’eat. co pas oublior quo le but do colui qui speculo est de fixer ou de erger une notion, — cest-à-dir un jiunvoir et un instrument de pouvoir, cependaiit que le poòto moderno esaayo do prodttire en nous un étafc exccptionncl au point d’uno jouissance parfaite?... Paul Valkry. G. B. PARAVIA & C. Editori-Librai-Tipografi TORINO-MILANO - FIRENZE - ROMA-NAPOLI-PALERMO ANDREA DELLA CORTE Antologia della storia della musica «Scopo del volume fu quello di’riunirò, in «cronologica successione, pensieri di roputati «studiosi, tedeschi, francesi, inglesi, sulla mu:«8Ìca, dalla Grecia antica a quella moderna, • riuscendo oosì profittevole non agli eruditi, «che conoscono lo fonti bibliografiche, ma agli «studenti zelanti o agli amici della musica de«sidcrosi di spingere un poco lo sguardo, oltre «i confini necessariamente angusti dei manua«letti, sui vasti panorami storici, siti più in«te ressa liti periodi, o di gustare la storia così «come un sommario libro non consente» (Dalla prefazione). 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II - PARADOSSO DELLO SPIRITO RUSSO’ Lire 12. Sta per iitvire: SCRITTI VARI D’ARTE; LETTERATURA, FILÒSOFI A. Di Oli ni in cut r pubblicazione: V. Cento: // viandante e la meta. M. Vinciguerra: Interpretaziune ’del petrarchismo. Goethe- Fiabrt, trad, di E. Sola Direttore Responsabile Piero Zanetti Tipografia Sociale - Pinerolo 1926