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IL BARETTI
QUINDICINALE EDITORE PIERO GOBETTI Torino VIA XX SETTEMBRE, 60
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Anno II — N. 4 — 5 — Marzo 1925
SOMMARIO: E. R. Curtius: Presentazione di Stefan George - L. Pionato: Enrico Thovez. — Lettera sentimentale di Pilade. - K. Elia: Prebecquiana. — p. g: Sollogub. — g. d.: Angelini. — O . Donne. - G. Sciortiso; Tendenze letterarie. — Libri.— R. Rigeani: Il teatro è malato.
LA RIVOLUZIONE LIBERALE Settimanale Editore PIERO GOBETTI Abbonamento annuo L.20 - Estero L. 30 Un numero L. 0,50'' |
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Presentazione di Stefan George
Vent’anni fa, era solo una piccola cerchia di persone ad onorare in Stefan George il più grande poeta tedesco dai tempi di Hölderlin.
L’ammirazione che gli si portava, era un culto esoterico. Il pubblico e la critica ufficiale nulla sapevano di lui, o se pure qualcosa sapevano, si trattava di una leggenda, che nulla aveva a che fare colla realtà. Si vedeva in George un esteta, un simbolista, un freddo marmoreo, stanco, raffinato cercatore di bellezza. Tutto a dir vero, il poeta stesso aveva fatto per circondarsi di silenzio. I «Blätter für die Kunst», l’organo della sua scuola, il cui primo quaderno apparve nell’ottobre del 1892 (l’ultima serie sinora uscita è del 1919). portava sul frontispizio l’avvertenza: «Questa rivista ha un cerchio chiuso di lettori, convitati dai soci». I volumi di versi di George apparvero in edizioni limitate, costose, fregiate da Melchior Lechter, un seguace tedesco di William Morris, e s’annoverano oggi fra le più care rarità della moderna letteratura tedesca. Più tardi ne vennero fatte edizioni meno dispendiose (tutte apparse presso l’editore Georg Bondi a Berlino), ma anche queste edizioni esistono veramente solo per colui che lo sa. Poiché l’editore non pubblicò mai annunci. Questo cosciente e voluto riserbo è una condizione molto significativa per George: una nobiltà, che gli vietò il mercato; una fede nella sacra dignità della poesia; un orgoglioso disprezzo per lo spirito del tempo e per l’esercizio letterario. Per decenni la poesia di George fu un «hortus conclusus» noto solo agli iniziati. La carriera di questo poeta offre l’esempio, unico nella letteratura moderna, di un genio al quale è riuscito d’affermarsi senza la più piccola concessione alla stampa, alla réclame, al commercialismo. Certo, vien fatto di pensare in ciò a Mallarmé, che tenne lo stesso contegno di fronte al pubblico, e tuttavia oggi possiede un posto suo, e che non potrà perdere, nella schiera dei grandi poeti francesi. Tanto più è lecito ricordare Mallarmé, che George senti profondamente l’influsso di lui. Poiché il giovane poeta tedesco trascorse a Parigi anni decisivi; egli appartenne al cénacle di Mallarmé, lo ha tradotto e ha scritto su di lui. Le sue prime opere, p. es. «Algabal» mostrano l’affinità dei suoi inizi con lo spirito del simbolismo francese.
Ma, ciò detto, solo più nettamente si palesa l’essenziale diversità, che esiste fra Mallarmé e George. E’ vero che Mallarmé sia oggi un classico della «poesie pure» ma la sua poesia rimane - nonostante Paul Valéry — simile a un viale laterale e solitario della letteratura francese. Lo sviluppo di George condusse a tutt’altri lidi. Egli é divenuto il poeta riconosciuto della sua nazione. Le sue opere son il breviario della gioventù tedesca, la sua influenza ha penetrato tutti quelli che si trovano nel vivo movimento dello spirito tedesco. Gli è toccata la parte del profeta e del veggente. Nessuno, anche fra quelli, che si oppongono ancora alla sua azione, può più contestare che egli, ed egli solo, sia la figura spirituale centrale della Germania odierna.
Donde nasce questo singolare mutamento? La fortuna crescente di George obbedisce ad un’organica necessità. Essa somiglia ad un seme, che lungo tempo matura nel silenzio e nel segreto, per poi al tempo predestinato portare mille volte il suo frutto. George segui solo la sua legge propria, che ad un tempo era una legge del destino. Egli doveva appartarsi per realizzarsi appieno. Ma quando la sua maturità fu compiuta, quando il fiore invigorì nel frutto, allora la sua parola si rivelò come la voce di tutta una età e di tutto un popolo. La sua vita remota fu la necessaria condizione della sua missione nazionale e mondiale. Il suo creduto estetismo fu solo il preludio di un messaggio etico-religioso, di una saggezza e di un insegnamento, che dovevano alimentarsi alle più profonde remote sorgenti, per diventare espressione essenziale di una nuova umanità, evocata dal poeta. Il cammino di George condusse dalla monodia lirica all’inno corale.
Per la prima volta ciò divenne palese, quando Stefan George nel 1907 fece uscire il «Siebente Ring». In questo volume egli condusse a termine il rivolgimento dalla lirica interiore a una poesia profetica, che chiamava dinnanzi al suo giudizio tutte le forme della vita contemporanea. La prima composizione di questo volume è intitolata «Das Zeityedicht». George si poneva qui di fronte al suo tempo. Egli usciva fuori dal suo isolamento e strappava il suo velo. Il suo era un appello immediato. Egli sguainava la spada.
Ihr meincr zeit genossen kainitet schon
Bemasset schon und schaltet mich — ihr fehltet.
Als ihr in larm und wüstcr gier des lebens
Mit plumpen tritt und rohem finger ranntet:
Da galt ich für den salbentrunknen prinzen
Per sanft geschaukelt seine lakle zählte
In schlanker anmut oder kühler wûrde
In blasser crdenferner festlichkeit.
Von einer ganzen jugend rauhen werken
Ihr rietet nichts von qualen durch den sturm
Nach höch estem first-von fährlich blutigen tràu(men.
Im bund noch diesai frcundl» und nich nur (leehzend
Nach tat rvar der empörer eingedrungen
Mit dolch und fackel in des feindes haus...
Ihr kundige las’t kein shaucrn-las’t kein lächeln
Wart blind für was in dünnem schleier schlief.
Der pfeifer zog euch dann zum wunderberge
Mit schmeichelnden verlibten tönen weis euch
Sa fremte schätze dass euch allgemach
Die welt verdross die unlängst man nach pries.
Nun da schon einige arkadisch säuseln
Und schmächtig prunken greift er die fanfare
Verlatzt das morsche fleisch mit seinen sporen
Und schmetterud führt er wieder ins gedräng,
Da griese dies als mannheit schielend loben
Ersenfzt ihr: solche hoheit stieg herab!
Gesang verklärter wolken word zum schrei!..,
Ihr sehet wechsct — doch idi tut das gleiche
Und der heut eifertade posatine bläst
Und flüssig feuer schlaudert weiss dass morgen
Leicht alle schönheit kraft und grösse steigt
Aus eines knaben stillem flötenlied.
Ma questo era solo un inizio e una prima battuta. Il pieno messaggio di George venne col volume di poesie susseguente: «Der Stern des Bundes». Il libro apparve nel Gennaio 1914. Era un libro profetico. Esso conteneva il presagio della guerra. Insieme col «Faust» pellegrinò in più d’uno zaino di soldato, verso la Francia. Esso racchiudeva, come mi disse qualcuno nella primavera del 1914, «a ogni domanda, una risposta ».
Non può essere intendimento di queste righe di render qui il messaggio di George. Loro scopo può essere solo quello di additare l’opera a coloro che sono lontani. Un libro intero sarebbe necessario, per esaminare il contenuto e il significato dell’opera di George. Io mi debbo limitare a poche osservazioni completive.
Stefan George è, dopo Nietzsche e dopo Hölderlin, uno dei grandi profeti tedeschi, che dall’intimo composero l'immagine di un mondo ed invocano la sua realizzazione. Essi l’esigono da una nuova generazione, che di nuovo cerchi la via verso i fondamenti ultimi della vita. George è nella poesia odierna d’Europa, l’unica figura, che realizzi l’idea’del «vates». Egli è vates nel senso di una religione orfica dei misteri. I suoi istinti sono pagani, ellenici. Ma il suo fervore é gotico. Egli ci ha dato una impareggiabile, seppur frammentaria, traduzione di Dante. Ma ciò che egli scorge ed ammira in Dante, non è il misticismo trascendente del Cattolicismo, ma l’eroicizzazione dell’uomo. L’opera di George è una fusione di religione greca del corpo, e di estasi gotica dell’anima. Il lato estetico qui diviene metafisico.
George è nato nel 1868 a Bingen sul Reno. Sua patria è la Germania romanizzata. Egli celebra il «soffio romano» del Reno. Tributa l’omaggio ai Cesari. Egli è un romano-germanico di nuova specie. Sui monti della sua patria cresce della Germania il più nobile vino. Così Dioniso s’accompagna ad Apollo. In qualunque modo ci si voglia mettere di fronte a questo poeta — si deve intendere, che qui hanno conchiuso un patto non mai veduto sinora, antichissime forze religiose di provenienza pagana e cristiana, fuse dalla potenza artistica di un genio che ha rinnovato il linguaggio del suo popolo.
Per lungo tempo George era tenuto per incomprensibile: la novità e la concisione del suo modo di esprimersi destavano meraviglia. Il suo verso e un estremo di condensazione. E come il verso così la strofe e la poesia tutta. Una brevità lapidaria è una delle caratteristiche del suo stile. La sua forma è architettonicamente severa, e la costruzione delle sue opere è dominata da un misticismo dei numeri, come lo troviamo nella «Vita Nova» di Dante. Ritmo rima e composizione sono di una rigorosa conformità alle regole e si astengono da tutte le libertà del moderno arbitrio. Ma la struttura severa e dispotica della sua poesia è tuttavia capace di accogliere le più delicate gradazioni di un sentimento sfuggente, e la vampa ardente della passione.
La poesia di George non é romantica. Essa è dominata da un ethos virile e coraggioso. Celebra l’uomo, forte, nobile, bello. Rinnova l’antica idea della calogatia. Essa combatte la scissione di Natura e Spirito, del corpo e dell’anima del tempo e dell’eternità, dell’umano e del divino. Annunzia un’unità al disopra di queste antitesi. Il divino é per George soltanto reale, se s’incarna. L’umano solo per lui ha valore se, nel terreno, si divinizza. L’uomo eroico è per lui la più alta realizzazione delle forze del mondo.
George è un avversario di tutti gli ideali moderni, dell’Aufklärung, della democrazia, del socialismo. Ma con ciò è tutt’altro che un tradizionalista. Veramente diresti ch’egli possieda un rapporto immediato colle occulte potenze. Egli crede che in ogni animazione storica il divino in nuova forma si riveli, e venga annunziato nuovamente dal vero profeta. Ma al disopra di ogni mutamento dei tempi egli scorge eterni originali rapporti di amore e di comunione, di Signore e discepolo, di adorazione e di ubbidienza, che si rivelano in mutevoli aspetti della vita. Il poeta è per lui il custode di quella suprema forma di saggezza, che solo colla consacrazione viene raggiunta. Anche chi non può condividere la fede di Stefan George, deve inchinarsi alla grandezza della sua personalità e alla potenza artistica della sua opera.
Ernst Robert Curtius.
Heibelbery, Febbraio 1925. (Scritto pel Baretti).
Enrico Thovez.
Quando Enrico Thovez pubblicò, nel 1910, «Il pastore, il gregge e la zampogna», parve ad alcuni che la cultura giovane, con quel libro, sì contrapponesse all’insegnamento classicistico del Carducci e volesse impedire lo svolgimento d’una rinascenza che appunto dal Carducci doveva prendere le mosse. Adesso e probabile, che non riesca difficile intendere quel libro — che era un manifesto romantico — come una delle più significative espressioni, e la più legittima derivazione dell’influsso carducciano; documento conclusivo di un periodo che indicava la tarda maturazione del romanticismo italiano. Il Thovez interessò molto, fu molto discusso; ma restò preso nell’equivoco. Egli stesso credeva di aver detto una parola nuova e di essersi schiusa la via ad un’affermazione personale nel campo della creazione. Quel libro aveva le intenzioni di una prefazione al poeta; ma il poeta non c’era e fu probabilmente esaurito dalla preoccupazione di determinarsi in un ordine critico che alla poesia doveva restare estraneo. La nuova generazione, invece, aveva realmente superato il carduccianesimo e iniziava attraverso un rapido esame delle esperienze compiute fuori d’Italia e particolarmente in Francia, le sue ricerche d’una lirica pura. Il Thovez era destinato a restar fagliato fuori da questa storia in gran parte fallimentare, perchè aveva troppo gusto per rimettercelo e non era più tanto immaturo per pensare a formarsi una nuova sensibilità.
Rimase, dunque, estraneo al movimento letterario, il cui centro si è spostato a poco a poco da Firenze, a Roma, a Milano; e i giovani non ebbero più occasione di riferirsi a lui. La sua attività, d’altra parte, sembrava colpita dalla malinconia di non aver trovato sbocco nel canto, e prese il tono signorile ma dilettantesco d’un esercizio appartato e dignitoso d’uomo fine e colto che è stato abbandonato dalla passione e dalla persuasione. Le prose «di combattimento» successive al Pastore avevano un tono estetico: non obbedivano a una necessità intima di pensiero. Non avevano un centro e non miravano ad una organicità. Thovez era rimasto una promessa, che non poteva essere adempiuta. Perchè era un epigono. I suoi saggi lirici erano sulla linea di sviluppo metrico e formale delle Odi Barbare, i suoi saggi critici si esaurivano in una ricerca di sincerità che, come valore sentimentale e psicologico, non valeva di più della dedica carducciana alla «piccola Maria». Non aveva condannato Petrarca?
La notizia della sua morte è trascorsa, come le altre che la cronaca ci porta dal passato, con molta tiistezzu ma quasi silenziosa. Thovez valeva più della sua opera. Li commemorazione può anche non parer generosa. Ma nessuno in Italia ha potuto dir diversamente. Thovez, che noi amammo, è veramente morto.
Luca Pignato.
PIERO GOBETTI — Editore
TORINO — Via XX Settembre, 60
Pubblicherà nel 1925
Politica:
F. Nitti: La pace.
C. Avarna di Gualtieri: Il fascismo.
E. Bartellini: La rivoluzione in atto.
A. Cariati: Finanza plutocratica.
A. Cavalli: Mussolini e la Romagna.
D. Di Ciaula: Dalle giornale rosse all’Aventino.
G. V. Galati: Politica e religione.
I. Giordani: Rivolta cattolica.
D. Giuliotti: I Reazionari italiani del Risorgimento.
L. Magrini: Il Brasile.
A. Parini: La vita di Giacomo Matteotti.
N. Parafava: Da Caporetto a Vittorio Veneto.
A. Poggi: Socialismo e cultura.
G. Rensi: Critica a noi.
C. Ricci: Politica sanitaria.
B. Riguzzi - R. Porcari: La cooperazione in Italia.
G. Salvemini: Dal patto di Londra alla pace di Roma.