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58 TEOCRITO


E canterà come un dí, per le trame del tristo padrone,
fu dentro un’arca grande rinchiuso ancor vivo il pastore;
e come l’api sime veniano dal prato a nutrirlo
entro il soave cedro, col succo dei teneri fiori,
perché nettare dolce spargea dal suo labbro la Musa.
Or tu godevi queste dolcezze, felice Comàta:
chiuso cosí ne l’arca tu fosti; e coi favi de l’api
fosti nutrito; e un anno trascorse nel dolce travaglio.
Oh se potessi ai miei dí tuttora contarti fra i vivi!
Io per i monti avrei pasciute le capre leggiadre,
le tue canzoni udendo: tu sotto le quercie ed i pini
soavemente avresti cantato, o divino Comàta.

Ed ei tacque, com’ebbe ciò detto; ed anche io, dopo lui,
presi a dire cosí: «Caro Lícida, molti altri canti
m’hanno insegnato le Ninfe, mentre io pascolavo sui monti,
e belli, cui la fama recò sino al trono di Giove;
ma questo è assai piú bello d’ogni altro, col quale, a onorarti,
comincerò, perché sei diletto a le Muse; e tu m’odi».

SIMICIDA

A Simicída gli Amori starnuti largiron; ché quanto
aman la primavera le capre, tanto egli ama Mirta.
La brama ha d’un fanciullo nel cuore: lo sa bene Aristi,
l’uomo eccellente, egregio cosí, che d’udirlo cantare
non si ricuserebbe vicino ai suoi tripodi Febo,
come ad Arato Tossa consumi l’ardor d’un fanciullo.

O Pan, tu che proteggi l’amabile pian di Malèa,
fra le bramose braccia spontanëo tu lo sospingi,