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IDILLIO III 25


Quando Ippomène volle sposar la fanciulla Atalanta,
i pomi d’oro sparse, correndo, pel suolo; e la bella,
come li vide, uscí pazza, piombò nell’abisso d’amore.

E l’indovino Melampo, dai monti dell’Otride, a Pilo
d’Ificlo spinse gli armenti. Cosí fra le braccia a Biante
d’Alfesibèa prudente la madre bellissima giacque.

E per i monti Adone, pascendo le greggi, non seppe
ridurre Citerèa la bella a tal furia d’amore,
che non lo sa dal suo seno staccare neppur dopo morto?

Degno è d’invidia per me quei che dorme un eterno sopore,
Endimïone; e invidio Giasone, mia bella, che tanta
ebbe fortuna, quanta, profani, giammai non saprete.

Mi duole il capo; e a te nulla ne importa. Non vo’ piú cantare.
Mi gitterò lungo a terra; e i lupi verranno a sbranarmi:
questo al cuor tuo sarà piú dolce che all’ugola il miele.