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IDILLIO II 17

seppi: ché me d’amore sfaceva ardentissima febbre.
E in letto dieci dí, dieci notti continue giacqui.
Dimmi dond’ebbe principio l’amor, veneranda Selène.

Era la pelle mia divenuta colore del bòsso,
tutti dal capo m’eran caduti i capelli: rimasto
altro non c’era di me che l’ossa e la pelle. A qual casa
di vecchia fattucchiera non corsi? Di chi mi scordai?
Però, nulla mi dava sollievo; ed il tempo fuggiva.
Dimmi dond’ebbe principio l’amor, veneranda Selène.

E allora, poi, svelai tutto quanto il segreto a la schiava:
«Tèstili, qualche rimedio tu trova al mio morbo crudele.
Il Mindio presa m’ha tutta quanta: a la bella palestra
di Timagète, presto, tu récati, e attendilo al varco:
quivi ei frequenta: quivi gli è dolce trascorrere il tempo».
Dimmi dond’ebbe principio l’amor, veneranda Selène.

«E di nascosto a lui, quando vedi ch’è solo, fa’ cenno,
e di’ cosí: Ti chiama Simèta — ed a me lo conduci».
Cosí le dissi. Andò la schiava, il bellissimo Delfi
condusse alla mia casa; ed io, come l’ebbi veduto
varcar della mia porta la soglia col piede leggero,
— dimmi dond’ebbe principio l’amor, veneranda Selène —

tutta piú fredda che neve divenni, mi scórse il sudore
giú da la fronte a rivoli, al pari di molle rugiada,
né pronunciare una sola parola potei, neppur quanto
vagisce un bimbo, quando nel sonno si volge alla mamma,
ma tutta rigida e bianca, qual bambola, in viso divenni.
Dimmi dond’ebbe principio l’amor, veneranda Selène.