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PREFAZIONE | XXXV |
elevano i loro steli fantastici. Su alto, gli enormi salici cresciuti su le due sponde, allacciano e confondono le rame in intrichi innumerabili, fra cui piove una luce diafana, verdognola, profumata, come da un astro ignoto smeraldino. In fondo alle brune acque immacolate si aggrovigliano e si snodano, con mille forme vive ed irreali, verdi alighe lunghissime, schiettissime, come capigliature di Ninfe. Di quando in quando, una glauca biscia guizza muta dal fondo, attinge lo specchio dell’acque, poi torna subito ad immergersi nei giacigli d alghe soavi. Se vi piegate sulla sponda, sentite quasi rinnovarsi il miracolo d’Ila.
E tutto è silenzio. E, a poco a poco, vi cinge l’illusione di navigare, puro spirito, su la cerula cimba dell’Ade, verso i regni dell’eterno oblio.
Ma d’un tratto si leva un alito di vento. E l’onde s’increspano lievi, e tutti gli alberi trepidano, foglia per foglia, e tra i rami si ridestano le voci sopite dei rosignoli.
E il canto degli uccelli, e il fruscio delle frondi, e il mormorio dell’acque, si fondono allora in un’armonia soprannaturale.
Tale è la musica dei versi di Teocrito. Questi furono i veri, i soli maestri del soave poeta di Siracusa.