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NOTE XXVI 267


Assai piú importante sarebbe decidere se l’idillio sia o non sia di Teocrito. E se non è di Teocrito, di chi è. E non tanto per arricchire d’una nuova gemma lo scrigno ben fornito del poeta di Siracusa, quanto per accrescere la schiera non molto fitta dei buoni poeti alessandrini. Perché questo idillio è una vera gemma.

Le ragioni che indurrebbero a farlo attribuire a Teocrito, sono parecchie; ma, al solito, non hanno, e non potrebbero avere carattere obiettivo. Io, a dir la verità, il tòno teocriteo non ce lo sento; ma cosí, ci perdiamo sempre piú nel campo del soggettivismo.

Fra i tratti che designano l’idillio come alessandrino, sicurissimamente, è da rilevare specialmente un particolare nella lotta d’Èrcole col toro. L’eroe afferra la bestia pel corno sinistro, le fa curvare il collo sino a terra, e poi lo torce all’indietro,

gravandolo col peso dell’òmero; e il muscolo saldo
si vide alto levarsi fra i tendini, al sommo del braccio.


Quest’ultimo particolare, non solo è superfluo, ma turba la bella linea della narrazione. In sede di poesia non è a posto. Perfettamente a posto sarebbe in una scultura; e alla tecnica della scultura s’ispirò qui, evidentemente il poeta, non mostrando intuizione estetica uguale alla perizia letteraria.

XXVI

LE BACCANTI

Inutile spendere parole intorno a questo povero componimento, che, per l’onor di Teocrito, si vorrebbe credere non teocriteo. Nella forma, e massime nella chiusa, è il perfetto compagno degl’inni — specie dei brevi inni — omerici: nel contenuto è una