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260 | TEOCRITO |
degno di figurare nella raccolta teocritea. E i due tocchi con cui si descrive lo sciacquío del mare ai piedi della capanna, sono veramente di mano maestra.
XXII
I DIOSCURI
Ricordo benissimo che, una ventina d’anni fa, nel mondo letterario italiano si diffuse una certa commozione perché un romanziere aveva introdotti nei suoi racconti dei dialoghi ex-abrupto, senza preparazione narrativa. In realtà, Teocrito, l’aveva già fatto parecchi secoli prima, in questo idillio sui Dioscuri.
Il poeta vi rappresenta due episodii mitici famosi: la lotta di Polluce col gigante Amico, e il ratto delle Leucippidi. Il primo di essi, offre un singolare interesse, ai nostri giorni di delirio sportivo, e, specialmente, pugilatorio. E non c’è bisogno di essere specialisti, per riconoscere, nella descrizione teocritea, tutti, piú o meno, i colpi della boxe moderna.
Come avviene, quasi sempre negli scontri reali, e sempre in quelli inventati, uno dei due campioni supera molto l’altro per mole, per forza brutale, e per ferocia; ma l’altro è piú agile e piú scaltrito nell’arte. E, al solito, da principio sembra che Amico debba, col semplice suo peso, schiacciare l’elegante Polluce. Ma non c’è da temere: si sa bene che, anzi, in questi casi, vince sempre il piú elegante e cavalleresco.
Prima di tutto, dunque, si provvede al bendaggio. E non è davvero bendaggio molle, bensí fatto con guigge di durissimo cuoio. Lo scontro comincia poi con un’azione per guadagnare il vantaggio del terreno, facendo rimanere l’avversario col sole in faccia: giuoco non troppo frequente nelle gare contemporanee, che si svolgono in luoghi chiusi, o verso il tramonto, ma che aveva