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258 | TEOCRITO |
ai non iniziati, gioverà sapere che Menelao non arrivò senza difficoltà alla somma fortuna delle nozze con Elena. A chiedere la bellissima principessa, s’erano presentati a Sparta i primi campioni di Grecia. E il padre Tindaro era rimasto a lungo dubbioso su la scelta; ma poi aveva avuta la felice ispirazione di chieder consiglio ad Ulisse. E questi, che era anch’egli fra i pretendenti, ma già sin d’allora la sapeva lunga, gl’indicò Menelao, come quello che piú faceva al suo caso.
Le due pitture finali, delle fanciulle che su l’alba colgono fiori sul prato, e che vanno ad incidere parole sopra un tronco, sono di sapore squisitamente moderno. Non sembrano, a momenti, d’un antico, bensí d’un moderno, che riviva in un luminoso riflesso immateriale, la vita antica. Potrebbe averli scritti Andrea Chénier; o, forse, e meglio, Gerard de Nerval (Sylvie).
XIX
IL LADRO DI FAVI
Pretta composizione alessandrina: non siamo piú nel clima della poesia, ma dello scherzo, della galanteria, dello spirito. Chi ci si trova bene, potrà sostenere senza protervia che a questo «Ladro di favi» non mancano né eleganza né arguzia.
XX
IL BIFOLCHETTO
È reputato spurio, in base a considerazioni diplomatiche (nel gergo filologico diplomazia vuol dire «stato dei codici»), linguistiche, e metriche, le quali hanno certamente il loro peso.