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252 TEOCRITO

pitocco anche Omero? Ci crederò quando sarà dimostrata l’autenticità dei brutti epigrammi che vanno sotto il suo nome.

Tuttavia, queste Càriti sono piene di tratti caratteristici e interessanti: tali la pittura della grettezza e dell’egoismo dei contemporanei, tali la prima esortazione e poi l’apostrofe contro gli avari. Specialmente questi due brani, ci portano assai lontano dal tòno abituale di Teocrito, e ci fanno pensare ad un altro poeta, non meno grande di lui: ad Orazio. Di sapore prettamente oraziano è tutta la prima parte; e non tanto per la somiglianza di questo o quel verso, quanto per il general carattere discorsivo ed etico, e per certi atteggiamenti che ritroviamo tali e quali nelle satire oraziane, e che, senza dubbio, il poeta di Venosa derivò dal poeta di Siracusa. Ne ricordo un paio che a momenti sembrano traduzioni.

Satire I, 1, 42 = Teocrito, v. 22.

          Quid iuvat, immensum te argenti pondus et auri
          furtim defossa timidum deponere terra?

Satire I, 1, 73 = Teocrito, v. 24.

          Nescis quo valeat nummus, quem praebeat usum?
          Panis ematur, olus, vini sextarius, adde
          quis humana sibi doleat natura negatis.

Satire, I, 3, 173 = Teocrito, vv. 62 sg.

                              Dum tu quadrante lavatum
          Rex ibis, neque te quisquam stipator ineptum
          Praeter Crispinum sectabitur, et mihi dulces.
          Ignoscent, siquid peccaro stultus, amici.

Da tali rassomiglianze si può raccogliere quale nome convenga a questa composizione che non rassomiglia a nessun’altra