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NOTE XVI 251

viani, il geniale «scugnizzo» napolitano, fra i suoi tanti «numeri» ha anche una «Piedigrotta», nella quale, egli da solo, con le infinite risorse della sua arte, offre una vivacissima immagine del gran baccanale partenopeo, dal generico tumulto della folla, all’abbaiare dei cani, al frastuono dei veicoli, alle mille dispute e risse, al soliloquio dell’ubriaco, alle armonie e alle stonature dei variopinti strumenti, sino alla gran canzone d’amore, che si libera da quel basso confuso volgare schiamazzo, per salire con ali d’angelo sino alle stelle del cielo.

Sulla medesima linea sono queste divine «Siracusane». E il degno artista che le includesse nel suo repertorio, le farebbe certo trionfare dinanzi a qualsiasi pubblico, dimostrando la vera e non sofisticata immortalità dell’arte di Teocrito.

XVI

LE GRAZIE O IERONE

È una specie di supplica o questua. Teocrito, pare, aveva già battuto, fuori dalla patria, alla porta di un possente e ricco straniero; e, ricevuta una repulsa, tenta se avrà miglior fortuna con Gerone IIº, figlio di Gèrocle, ultimo re di Siracusa.

I tèmi di una simile poesia sono, si capisce, obbligati. Le ricchezze di per sé non contano un bel nulla: conta l’immortalità; ma l’immortalità si ottiene solamente mediante il canto dei poeti. Morale, date un’abbondante mancia ai poeti. Ed è inutile che Teocrito ci dica che non chiede per sé, ma per le Càriti, e ci dipinga queste Càriti con immagini che non potrebbero essere piú argute. In sostanza, chiede l’elemosina. E i poeti in veste di pitocchi insistenti e moralizzanti non sono mai simpatici. Era